giovedì 1 settembre 2011
Maestro: dopo quello di padre, è il più dolce nome che possa dare un uomo a un altro uomo.

Una volta, passeggiando per le strade di Atene, mi stupii di vedere in vetrina un libro intitolato in greco Kardia: sì, era proprio quel Cuore che il nostro Edmondo De Amicis pubblicò nel 1886 e che accompagnò tutti gli adolescenti di varie generazioni fino – credo – al Sessantotto quando furono abbattuti molti miti (ma anche alcuni valori) di cui grondavano quelle pagine. Durante le scorse vacanze, nella mia casa paterna, ho ritrovato l'edizione sgualcita di quella mia lontana lettura ormai antica e, sfogliandola, mi sono imbattuto in questa definizione, enfatica fin che si vuole, ma meritevole di un pensiero che riserviamo proprio agli esordi del mese che s'affaccia sul nuovo anno scolastico.
Con la “maestrina dalla penna rossa” se ne sono andati anche quasi tutti gli altri maestri. È vero, alcuni erano decisamente cattivi maestri, altri erano impregnati e asserviti alle ideologie, altri ancora erano stanchi ripetitori di concezioni e di ideali un po' decotti. Ma con quella piazza pulita che si è fatta, i giovani (ma non solo) si sono trovati in un deserto senza padri e maestri. Il padre è stato cancellato dalla psicanalisi a causa della sua ombra incombente e seducente; il maestro è stato spazzato via dalla società emancipata e dalle nuove teorie pedagogiche. Visti i risultati, qualche resipiscenza sta ora emergendo e la figura dell'educatore torna a presentarsi nella scuola, nella comunità civile ed ecclesiale. Con una consapevolezza, comunque: ben arduo e delicato è questo compito e i suoi errori sono sempre tragici, anche perché – come diceva Orazio (citato da sant'Agostino) – «una volta che un'anfora è stata impregnata di un odore, lo conserverà a lungo».
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