sabato 15 dicembre 2012
In un'intervista inedita al giornalista russo Ostap Karmodi, pubblicata da Terre di mezzo, David Foster Wallace, scrittore americano fra i più lucidi, liberi e antidogmatici degli ultimi decenni, ritrae la nostra società e le sue zone d'ombra: il cinismo della politica, i guasti del consumismo, le derive della letteratura contemporanea, l'orrore degli allevamenti industriali. «Tecnologie e logiche economiche sono diventate così sofisticate» osserva «che oggi è possibile perpetrare crudeltà inimmaginabili due o trecento anni fa. Per questo abbiamo l'obbligo morale di tentare con tutte le nostre forze di sviluppare la compassione, la pietà e l'empatia». Nei suoi libri, da Infinite Jest a La ragazza dai capelli strani, e soprattutto nel Re pallido, il grande romanzo incompiuto, uscito postumo nel 2008, Wallace offre, non tanto una soluzione, quanto un importante elemento di riflessione: l'idea che svolgere bene il proprio lavoro abbia un valore, sia un valore, per sé e per la società. Quel lavoro preciso, scrupoloso, solitario ed eroico che si compie nella noia di giornate uguali, e che Blaise Pascal, ripreso da Wallace, contrappone alla vacuità del "divertimento". Il lavoro esigente, nascosto, e per questo più degno, che coincide con il più difficile che abbiamo: il nostro mestiere di vivere.
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