venerdì 28 febbraio 2014
La strada è la via degli Zuavi, che passarono di lì, caricando contro gli Austriaci, nella II guerra d'indipendenza del '59. Ogni sera, vedevo l'evento della giornata: il rientro degli operai. Durava mezz'ora e, da seduto sul gradino del negozio della zia Serena, immaginavo una sorta di radiocronaca di quella che a me sembrava una gara di ciclismo. Erano centinaia di uomini e donne, tutti in bicicletta. Nel mondo della fatica dignitosa, le quote rosa erano rispettate da sempre. Si lanciavano battute, si canzonavano, superandosi, rivolgendosi senza guardarsi o parlandosi in diagonale. Era una festa. Alle diciotto ecco gli ultimi di quelli che poi si sarebbero dispersi nei paesi intorno, pedalando. Ma appena questa tappa, sempre uguale, si concludeva, in stazione arrivava «il Fogna». Era un treno con sole carrozze di terza classe e sedili di nudissimo legno, che riportava gli operai nell'hinterland. A breve percorrenza, doveva il suo nomignolo alla fantasia autoironica degli operai stessi che, nel mentre si mettevano alla berlina, esprimevano una perfetta critica sociale di acre efficacia; roba da fare invidia a uno scrittore. Ora per la via Zuavi, per pochi minuti, transitava la loro fanteria del lavoro, puntuale, nebbia permettendo. Era la liturgia del nostro pane quotidiano.
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