giovedì 18 ottobre 2018
Salvatore Mazza
Ho un comodino pieno di tante cose. Da quando mi è stata diagnosticata la Sla, il numero di quelle cose è aumentato. Ma una in particolare è lì da sempre ed è, per me, del tutto speciale. È un fazzoletto che sta chiuso nel cassetto, un semplicissimo fazzoletto di cotone bianco, con una minuscola sigla blu ricamata in un angolo. Me lo diede Madre Teresa alla fine di settembre del 1988, trent'anni fa. Il giornale mi aveva spedito di corsa a Calcutta per intervistarla quando uscì la Mulieris dignitatem. Talmente di corsa che, arrivato lì, mi resi conto che Madre Teresa non sapeva nulla degli accordi che avevo preso con una sua consorella riguardo all'intervista. E che non aveva alcuna intenzione di parlare con me. Nel panico più totale, mi affannai lungo tre giorni scanditi da appuntamenti impossibili cercando di convincerla; fino a quando – raccontando un po' di storie («il Papa sa che sono qui e aspetta di leggere l'intervista...») e con l'aiuto di padre Lorenzo, il padre spirituale delle Missionarie della Carità – si lasciò convincere. Così facemmo l'intervista, ma un poco per l'agitazione un po' per il caldo infernale piovevo letteralmente sudore, al punto che dopo un po' Madre Teresa da una tasca del sari tirò fuori un fazzoletto che mi porse perché mi asciugassi. Alla fine era uno straccio fradicio; io – giuro – feci la mossa di restituirglielo, ma quando mi disse di tenerlo perché mi sarebbe servito ancora ne fui felice.
Da allora quel fazzoletto è diventato parte della famiglia. Tante volte è stato steso sulla fronte bollente delle nostre figlie, visto che entrambe da piccole avevano l'abitudine di farsi venire la febbre con temperature da altoforno.
Quando mi è stato detto della mia malattia, anch'io per qualche sera prima di dormire me lo sono messo sulla testa pensando a quello che Madre Teresa mi disse lasciandomelo. E questo mentre sul comodino altre cose, datemi da sorelle, cugini, amici, si aggiungevano a quanto già c'era: il rosario di papa Wojtyla, l'olio di Padre Pio, reliquie, immaginette... Sta tutto lì. Ogni sera, quando vado a letto, guardo tutte quelle cose e penso a quanto affetto c'è attorno a me. E sì, certo, per un po' ho pregato per un miracolo. Ma adesso non più: e non perché non ci creda – nella mia vita ne sono stato testimone almeno un paio di volte – ma perché con il passare del tempo ho visto con altri occhi tutto quello che c'è intorno, i bambini innanzitutto. E allora, perché dovrei essere proprio io? Però sapere che nel cassetto del mio comodino, che oggi nemmeno riesco più ad aprire, c'è quel fazzoletto mi dà una serenità infinita.
(3-online: Avvenire.it/rubriche/slalom)
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