mercoledì 7 gennaio 2009
Andrea Vitali è stato parzialmente inventato da Raffaele Crovi che gli pubblicò nel 1990 il primo romanzo, Il procuratore, nelle rimpiante edizioni Camunia. Due anni dopo, sempre con Camunia, apparve Il meccanico Landru.
Ha avuto vita breve, la croviana Camunia, perché una casa editrice che pubblica (quasi) solo narrativa italiana ha vita (mercato) difficile, difficilissimo.
Ma credo che la limitata fortuna di Camunia dipenda dal nome, scelto da Crovi perché aveva ricevuto qualche finanziamento bresciano, perché i camuni sono un disastro, con buona pace di Emmanuel Anati che gli dedica libri e libri, anche belli: basti ricordare che quando arrivarono i romani nel 16 a. C. i camuni stavano ancora lì a graffiare omini filiformi sui sassi della eponima Valcamonica, mentre da secoli nel mondo si leggevano Omero e Aristotele, per non parlare delle piramidi egizie e dei giardini di Babilonia.
Insomma, i camuni sono un vicolo cieco dell'evoluzione culturale, inchiodati all'età del ferro, e Camunia ne ha fatto le spese. Speriamo che la Regione Lombardia non finisca male per aver scelto come stemma la rosa camuna, quella specie di quadrifoglio che assomiglia a un bottone di paltò.
Vitali (torniamo a lui) ha fatto la sua fortuna e quella di Garzanti sfornando un bestseller quasi ogni anno a partire dal 2003 (Una finestra vista lago, La figlia del podestà, Olive comprese, La modista, sono i titoli più recenti) e la tiratura complessiva dei suoi romanzi supera il milione di copie.

Adesso è in libreria con Dopo lunga e penosa malattia (Garzanti, pagine 184, euro 14,60), riscrittura e riproposta di un racconto già pubblicato da Aragno (cioè ancora da Crovi) nel 2001 in L'aria del lago.
L'avvertenza autoriale dichiara: «I personaggi e le situazioni raccontate in questo romanzo sono frutto di fantasia. I luoghi, invece, sono reali». E il meglio viene proprio dai luoghi, da quel lungolago di Bellano " dove Vitali è nato nel 1956, e dove tuttora vive come medico condotto ", con lo sciabordio dell'onda, e quell'odore, appunto, di lago, che si avverte nelle trattorie dove viene servito il risotto col pesce persico.
L'azione è racchiusa tra un 4 e un 12 novembre: giorni di pioggia, dunque, di nebbia, di vento che trascina foglie e cartacce. Il dottor Lonati, nella notte, è chiamato a costatare la morte del notaio Galimberti, suo amico, sofferente d'asma e con problemi di cuore come lui stesso. Ma perché ci sono quelle impronte di scarpe bagnate sulla moquette, e perché i vestiti del morto emanano un odore di fritto, se la moglie assicura che è sempre stato in casa e ha cenato con una minestrina e un po' di prosciutto?
Il medico non osa ordinare l'autopsia, ma comincia a collegare indizi che lo coinvolgeranno in un'indagine da cui risulterà una doppia o tripla vita del notaio, la cui moglie non è la buona signora borghese che sembra, e la cui figlia...
Insomma, non si può rivelare il finale della storia in cui compaiono un farmacista allarmante, un oste ruffiano e il mistero di chi ha affisso i manifesti che annunciano il decesso del notaio «dopo lunga e penosa malattia», quando invece si è trattato di una morte improvvisa.
Il lettore si lascia prendere dal ben congegnato meccanismo della trama, raccontata con linguaggio semplice e denotativo. Per Andrea Vitali, di solito, si fa il nome di Piero Chiara, ma Vitali è un Chiara meno scollacciato, provvisto della reticenza lombarda di quel ramo del Lago di Como. Personalmente non amo i gialli, perché i gialli sono libri che non si rileggono. Questo di Vitali, però, può resistere alla rilettura anche per lo scavo psicologico dei personaggi fra i quali si staglia la bella figura di Elsa, la moglie affettuosa del Lonati sempre in trepidazione per lui.
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