sabato 4 agosto 2018
La pace la si può cercare e perseguire in tanti modi. Ma certamente, per un bambino, può sembrare una missione impossibile. Un'impresa troppo grande e troppo sproporzionata rispetto alle proprie forze. La realtà però è diversa, perché la ricerca della pace «comincia dalle piccole cose», e comincia impegnandosi per il prossimo; «e non importa se sia amico o sconosciuto, connazionale o straniero», perché «non possiamo credere in Dio e pensare di essere figli unici!».
Davanti papa Francesco, che lo scorso martedì sera diceva queste cose, decine e decine di migliaia di chierichetti provenienti da tutta Europa e partecipanti al pellegrinaggio del Coetus Internationalis Ministrantium. Un'iniziativa nata in Germania nel 1962, in piena Guerra Fredda, per lanciare un segnale di pace tra i Paesi di un'Europa allora spaccata in due, e che ancora oggi prosegue visto che, purtroppo, la pace – quella vera – è ancora un miraggio all'orizzonte. Da Giovanni XXIII, che ricevette in udienza i partecipanti al primo di questi pellegrinaggi, in poi, tutti i pontefici hanno voluto riservare a questa iniziativa che coinvolge i chierichetti un'attenzione speciale. Perché, come disse in una di queste occasioni Giovanni Paolo II, «il ministrante occupa un posto privilegiato nelle celebrazioni liturgiche. Chi serve la Messa, si presenta a una comunità… in tal modo nella Liturgia siete molto più che semplici “aiutanti del parroco”. Soprattutto siete servitori di Gesù Cristo, dell'eterno Sommo Sacerdote. Così, voi ministranti siete chiamati in particolare a essere giovani amici di Gesù... (Per questo) Il vostro servizio non può limitarsi all'interno di una chiesa. Esso deve irradiarsi nella vita di ogni giorno: nella scuola, nella famiglia e nei diversi ambiti della società. Poiché chi vuole servire Gesù Cristo all'interno di una chiesa deve essere suo testimone dappertutto».
Ancora Benedetto XVI, in un'altra edizione dello stesso pellegrinaggio, volle ricordare davanti ai suoi piccoli ospiti che «quando partecipate alla Liturgia svolgendo il vostro servizio all'altare, voi offrite a tutti una testimonianza. Il vostro atteggiamento raccolto, la vostra devozione che parte dal cuore e si esprime nei gesti liturgici, nel canto, nelle risposte: se lo fate nella maniera giusta e non distrattamente, in modo qualunque, allora la vostra è una testimonianza che tocca gli uomini... E per questo vi chiedo: non abituatevi a questo dono, affinché non diventi una sorta di abitudine, sapendo come tutto funziona e facendolo automaticamente, ma scoprite ogni giorno di nuovo che lì avviene qualcosa di molto grande, che il Dio vivente è in mezzo a noi, e che potete essergli molto vicini e recare il vostro contributo affinché il suo mistero venga celebrato e raggiunga le persone».
È dunque per questa loro specificità che i chierichetti, forse meglio dei loro coetanei, possono comprendere che cosa voglia dire amare con l'amore di Gesù. Amare attraverso quelle opere di misericordia che, ha detto martedì Francesco, certamente «sono una via impegnativa, ma alla portata di tutti: non è necessario andare all'università o prendere una laurea, tutti possiamo fare opere di misericordia. Basta che ciascuno di noi cominci a chiedersi: “Che cosa posso fare io, oggi, per venire incontro ai bisogni del mio prossimo?”. E questo prossimo: dei miei fratelli, di mio papà, mia mamma, i miei nonni, i miei amici, i poveri, gli ammalati...; ma uno, uno al giorno… così facendo potete diventare davvero santi, uomini e donne che trasformano il mondo vivendo l'amore di Cristo. È vero, non è facile, costa fatica, ma ricordatevi: la strada verso la santità non è per i pigri».
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