mercoledì 10 giugno 2020
Èun vero piacere leggere Le porte del mito, di Maria Grazia Ciani, grecista dell’Università di Padova (Marsilio, pagine 140, euro 15). L’autrice, che per lo stesso editore ha tradotto l’Iliade e l’Odissea, sa comunicare al lettore la sua passione culturale per il mondo antico, senza schiacciarlo con l’erudizione ma, dall’alto della sua competenza, fa condividere lo specchio in cui si riflettono i miti fondativi dell’Occidente. Brevi capitoli, nomi noti che rimandano a pieghe inesplorate della memoria e della psiche occidentali, luoghi e accadimenti che, nella nuova luce, sentiamo vicini, anzi, dentro di noi. A farne le spese è il personaggio di Ulisse che Ciani plasma con oggettiva veridicità, condividendo la descrizione di Filostrato: «Era abilissimo nel parlare, ma era un dissimulatore, amava l’invidia e lodava la malignità, era sempre triste e sovrapensiero, in guerra appariva più coraggioso di quanto non fosse in realtà, e non era esperto neppure nel tirare l’asta». Ciani riporta la storia misteriosa di Palamede, di cui Omero non parla ma che mitografi e poeti successivi hanno riportato. Ulisse, riferisce Apollodoro, non era intenzionato a partecipare alla guerra di Troia, e per non essere arruolato si finse pazzo: fu Palamede a dimostrare che quella pazzia era simulata, e così Ulisse fu costretto a partire. Sul campo, volle vendicarsi accusando Palamede, fornendo prove false ma irrefutabili, di essere connivente con i Troiani, talché il rivale che lo vinceva nelle gare di astuzia e sapienza fu lapidato dai commilitoni. Del resto, anche Dante colloca Ulisse nel girone infernale dei consiglieri fraudolenti, ma non nasconde una certa ammirazione per il coraggio di Ulisse di lasciare Itaca, dopo un breve soggiorno con la pazientissima Penelope, rimettendosi in mare per esplorare l’emisfero australe, inseguendo «virtude e canoscenza» per la gioia degli illuministi di sempre. Anche la storia di Nausicaa, secondo altre fonti, va oltre il racconto omerico. La fanciulla, abbandonato Ulisse ma di lui sempre innamorata, giunge avventurosamente a Itaca e da Penelope apprende che egli è ben altro da quello che appare: «È un vizioso, un truffatore, un bugiardo, è davvero un uomo “dai mille volti” che lei, Penelope, ha amato da lontano ma ha scoperto al suo ritorno. E lo ha cacciato da Itaca né sa più dove sia». Questo è solo un assaggio della rilettura che Ciani offre dei miti antichi. Ma almeno occorre far cenno alla storia di Orfeo ed Euridice. Orfeo, musico e poeta, ama Euridice e osa discendere nel regno dei morti per implorare agli dei inferi la restituzione dell’amata, prematuramente morta per il morso di una vipera. La grazia viene concessa ma con il vincolo che Orfeo non debba voltarsi per vedere che Euridice lo stia davvero seguendo. Purtroppo si volta, ed Euridice rimane nell’Ade. Maria Grazia Ciani non si ferma all’interpretazioni ovidiana del mito: seguendo le intuizioni di Rilke, di Claudio Magris, e anche del “Poema a fumetti” di Dino Buzzati, suggerisce che Euridice sia appagata dal silenzio e dalla pace che ha trovato nell’Ade, e inconsciamente non voglia seguire Orfeo che non rinuncia alla vita. La vera vita, anche l’amore, è nell’oltrevita: e il mito sembra così colorarsi di un sottinteso cristiano.
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