I grandi, i piccoli e lo sport: guardiamo la parabola di Ariana
mercoledì 13 dicembre 2017
Da padre ho sperimentato anch'io il rischio di dimenticare, davanti ai figli-atleti impegnati in qualche competizione locale, di dover essere prima genitori che tifosi. Enfatizza questa dismissione di responsabilità il titolo «La Chiesa scende in campo contro i genitori-ultrà» con cui "La Stampa" online (tinyurl.com/ycycxypk) presenta un'iniziativa della diocesi di Novara, dove ci si è convinti che
i "grandi" - dirigenti e genitori - che governano la pratica sportiva dei "piccoli" debbano essere orientati a crescere «persone con valori positivi e che sappiano come comportarsi» nella vita quotidiana, e perciò trattenuti dalla tentazione di riprodurre in questi contesti di base le logiche iper-competitive (anche nel tifo) dello sport professionistico. La proposta consiste in un percorso di formazione di quanti hanno un ruolo da protagonisti nel rapporto tra i ragazzi e lo sport; quindi coinvolgerà le società sportive, tante delle quali possono certamente fare affidamento sulla ricchezza dell'ispirazione cristiana che le ha originate.
L'idea mi piace e anzi suggerisco come documento-base del progetto un video e una notizia che mi arrivano sul diario di Facebook da Claudio Monge (tinyurl.com/y73d53mz), assieme a un suo lungo e incisivo commento introdotto da: «Meglio vincere ben accompagnati che perdere soli». Ne è protagonista l'atleta diciassettenne Ariana Luterman, che avrebbe potuto fare sua la maratona di Dallas a motivo del malore che ha colto, in testa alla gara, Chandler Self, ma che, sorprendentemente, ha preferito sollevarla di peso, a pochi metri dal traguardo, e accompagnarla a tagliarlo per prima. Le immagini ( tinyurl.com/y9buvqxs ) sono così eloquenti da rendere superfluo ogni commento. Quel poco che riesco a sapere dalla Rete di Ariana Luterman evidenzia una sua spiccata sensibilità sociale (è molto impegnata in un'associazione che assiste i bambini senzatetto di Dallas) ma non se essa sia sostenuta da una fede. E tuttavia c'è abbastanza Vangelo in un gesto del genere da spingermi a vedervi una "parabola".
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