venerdì 1 maggio 2015
Ho visto a L’Aquila i brevi film realizzati dagli allievi della sede decentrata (ce n’è un’altra a Palermo) del Centro sperimentale di cinematografia e, com’era prevedibile, essi trattano quasi sempre del terremoto, del dopo il terremoto. Ce n’è uno sui cani sbandati che si aggirano inquieti per la città, un altro su un centro d’accoglienza ancora attivo, un altro su un paese dei dintorni del capoluogo che stenta a ripopolarsi… Vi si parla di vecchi, di handicappati (ma nei momentinon lacrimosi, in quelli del "sorriso"), ma vi si vedono pochissimi bambini e pochi giovani, anche se sono dei giovani ad averli realizzati. Fa eccezione il più impressionante di tutti, che è firmato da tutto il gruppo degli allievi, una decina, e si intitola Senza parole. Nella notte gli autori avanzano aiutati da lampadine tascabili dentro la città; poi, pian piano, viene l’alba e nella loro marcia incontrano e vedono macerie, solo macerie.Mi è sembrata una bella metafora della condizione giovanile di oggi, con la differenza che un "terremoto" più generale, una crisi ancora più travolgente di un terremoto, non c’è stata e si spera non debba mai esserci. Si spera, ma non se ne è convinti, e a me pare che non ne siano convinti neanche i giovani italiani di oggi. Sembrano vivere nell’attesa, in uno stato di sospensione. Sembra facciano di tutto per non pensare (loro, i loro padri) a disastri possibili e più grandi, ma sul fondo sembra li aspettino, come i greci (o erano romani?)di una famosa poesia di Kavafis aspettavano i barbari. I vecchi maestri ci hanno insegnato che la storia procede secondo due modalità che si avvicendano: uno stato di crisi, di febbre, di grandi sommovimenti, e uno di quiete, di ricostruzione, di temporanea tranquillità e pacificazione. Per trent’anni l’Italia ha vissuto un periodo di pace e di prosperità, ma anche di conformismo ed egoismo e di complicità con i poteri vigenti. In definitiva, un’economia dalle basi fragili e fittizie prima di andare in tilt sembrava dovesse durare in eterno, nella cosiddetta "fine della storia". Poi la storia si è rimessa in cammino e oggi, mi pare, risuona spesso nelle nostre orecchie, nei nostri giorni senza conflitto, e più spesso nei sogni e incubi dei più insicuri, il rumore degli zoccoli di qualche cavallo dell’Apocalisse. Pochi se lo confessano e se lo dicono tra loro, ma di questo i giovani mi sembra abbiano sentore, spaventati a volte dal loro stesso conformismo: s’inventano esorcismi cheallontanino gli incubi, ma sono esorcismi molto deboli, per quanto vistosi e rumorosi, ai quali non sembrano credere. Ci auguriamo per loro e per noi tutti che il risveglio non sia brutale come è stato tante volte in passato.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI