Gli appunti dal labirinto di Simic, poeta di Belgrado che «vede slavo»
sabato 16 giugno 2012
Ogni tanto mi arriva un piccolo libro del poeta Charles Simic. È nato nel 1938 a Belgrado e vive negli Stati Uniti dal 1953. È considerato uno dei migliori poeti americani, ma l'Europa slava ce l'ha nello sguardo (qualunque cosa guardi), nel sangue e nel cervello. «Ogni oggetto è un'enciclopedia di archetipi» dice nell'ultimo dei suoi libri, Il mostro ama il suo labirinto (Adelphi). È un libro fatto di appunti e non è meno poetico delle sue poesie.Ogni volta che incontro un libro di Simic non riesco a staccarmi. Cerco di capire come procede, data l'incredibile audacia delle sue associazioni. Il rapporto fra versi e appunti di un poeta l'ho sempre trovato irresistibile. Come stanno insieme? Non è facile dirlo. Oppure non c'è bisogno di dirlo, perché stanno insieme come il dritto e il rovescio di un vestito. Nel rovescio (i versi o gli appunti?) si vedono meglio le cuciture. Ma in Simic anche Paradiso e Inferno, così come si incontrano nel mondo, sono il rovescio l'uno dell'altro. Il suo istinto è vederli insieme nello stesso momento e luogo. Un altro appunto dice: «Il poeta vede quello che il filosofo pensa». Frase interpretabile anche così: il poeta pensa vedendo, pensa con lo sguardo, lo sguardo fisico degli occhi e lo sguardo mentale che vola altrove e associa le cose più disparate.Il bello dei taccuini è anche nelle loro virtù proprie, in quello che li fa essere quello che sono pur alludendo a quello che potrebbero diventare. Come la poesia e in modo diverso, i taccuini sono poco selettivi, fanno entrare di tutto: progetti, commenti, sfoghi di rabbia, nostalgie, paure, ricordi, scoperte su se stessi, sulla vita, la poesia, la società: scoperte già fatte, ma sentite con l'entusiasmo di un adolescente che pensa per la prima volta. Su se stesso: «Sono figlio delle domeniche di pioggia della mia giovinezza». Sulla società: «Un' epidemia di orologi nelle città dove regna il caso». Sulla letteratura: «Reading di poesia. I quattro poeti continuano a urlare tutta la sera: "Il mio dolore è più grande del tuo"».
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