martedì 27 febbraio 2018
«Sempre meglio fare il giornalista piuttosto che lavorare»! Così Indro Montanelli, riprendendo una fulminante e autoironica considerazione di Luigi Barzini, parlava di “mestiere”, termine che viene da ministerium, cioè servizio, parola che anche oggi nelle redazioni può indicare un articolo in pagina. E ieri (“Fatto Quotidiano”, p. 12) in un servizio a firma Fabrizio D'Esposito trovo questa definizione applicata alla categoria: «Giustizieri del bene e del male». Ne è autore, nientemeno, Paolo VI. Quel termine pare feroce, ma ogni giorno è applicabile a tante pagine sulla vita di uomini e donne. D'Esposito dunque descrive «Paolo VI, i giornalisti e i geroglifici», edito da “Vivere In” e a cura di Leonardo Sapienza, “Reggente della Casa Pontificia”, che riporta alcuni testi nei quali da papa Montini (1897-1978) ha parlato del lavoro del giornalista, pieni di rispetto e insieme di acute osservazioni, a cominciare da quella pungente definizione di «giustiziere del bene e del male». Il volumetto, 53 pagine, è arricchito da una solida prefazione di Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio dei cardinali che «affianca il Papa nel governo della Chiesa». Saggezze varie, osservazioni originali con implicita cortese ammonizione doppia: attenti alla tentazione di essere non solo giudici, ma «giustizieri» di vite di fratelli in umanità, e quell'accenno ai «geroglifici», che si riferisce al rischio di scarsa chiarezza che inganna i lettori... Qui nel caso soddisfazione condivisa e con una sola osservazione: in copertina l'immagine, credo una delle prime da Papa, di Paolo VI allora 66enne, con sul capo il triregno, simbolo piuttosto mondano del potere anche temporale... La realtà di Paolo VI ci dice che ben presto, durante il Concilio, egli lo consegnò per i poveri, e da allora nessun altro Papa l'ha ripreso. Eccetto l'amore di Dio e del prossimo, tutto in questo mondo è effimero.
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