martedì 14 dicembre 2021
«L'Europa deve stare attenta a non aprire la strada alle colonizzazioni ideologiche». Questa ed altre frasi pronunciate dal Papa durante il volo di ritorno dal suo viaggio a Cipro e in Grecia, dopo una fiammata di attenzione iniziale legata alla infelice "circolare" interna della Commissione Ue sul Natale, sono state rapidamente archiviate. Accade sempre così quando Francesco tocca argomenti sgraditi alle élite che cercano di monopolizzare l'informazione e urta le scelte economiche e sociali più convenienti agli interessi predominanti. E invece vale la pena di tornarci.
Gli spunti offerti dal Pontefice sono stati diversi, ma nel complesso il suo pensiero è apparso chiaro. L'idea di cancellare i riferimenti religiosi dalla coscienza dei popoli è vecchia: è, precisamente, un "anacronismo" che, da Napoleone (in questo figlio devoto della Rivoluzione) a Hitler e Stalin, è stato tentato più volte inutilmente, anche se a prezzo di sofferenze e persecuzioni immani. Ma la questione centrale indicata da Francesco è quella della democrazia. Dopo il discorso di Atene sull'indebolimento di alcune società democratiche, tutti hanno puntato il dito contro Paesi europei come l'Ungheria e la Polonia, i cui governi cercano di condizionare e controllare la dialettica interna e, in particolare, inficiano il principio della divisione dei poteri. Ma sull'aereo il Papa ha sottolineato che il rischio di fiaccare il sentimento democratico dei cittadini è duplice: da un lato c'è la minaccia dei populismi e il desiderio di qualche governante di dare vita a una "democratura", dall'altro c'è quella che potremmo definire la "tentazione totalitaria" sulle menti. Su questa seconda insidia conviene ritornare. Citando il romanzo "Il padrone del mondo" di Robert Benson, Francesco, con un filo di ironia sul proprio "anacronismo" in letteratura, ha messo in guardia contro il sempre ricorrente "sogno" di un super governo mondiale, che «detta i comportamenti economici, culturali, sociali agli altri Paesi». Anche questo è un pericolo tutt'altro che remoto per un'Europa che non voglia indebolire le fondamenta della democrazia al suo interno. Per questo l'Unione europea di oggi «deve prendere in mano gli ideali dei Padri fondatori» e «deve rispettare ogni Paese come è strutturato dentro, la varietà dei Paesi, e non volere uniformare». Provando ad andare sul concreto, a proposito del contenzioso fra Bruxelles e Budapest sembra giusto che la Ue pretenda il rispetto di regole democratiche basilari. E se Orbán cerca di condizionare i giudici per evitare che ficchino il naso in questioni per lui scomode, è naturale che venga contrastato se vuole restare a pieno titolo nell'Unione. Altra cosa però è voler imporre un pensiero unico sulla cosiddetta identità di genere, fermo restando il rispetto di ogni differenza e il principio di non discriminazione.
Per esempio, è necessario deferire l'Ungheria alla Corte di giustizia Ue per violazione dei diritti umani, perché ha imposto un avviso di "incoerenza con i ruoli di genere tradizionali" all'interno di un libro di fiabe per bambini in cui un cervo cambia sesso diventa cerbiatta e un principe ne sposa un altro? Sugli orientamenti sessuali e su come insegnare a rispettarli ai bambini, dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo in Europa? Ed è compito di Bruxelles vietare alcuni approcci? Anche così, forse, si rischia quello che il Papa ha definito «un impero». Precisando che sì, «è una parola brutta, ma non ne trovo un'altra».
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