Francesco e lo sport, un mondo di senso (e da capovolgere)
mercoledì 15 marzo 2017
Chi, come me, ha avuto a che fare per tutta la vita con lo sport sa bene che la scansione del nostro tempo è quadriennale. Quattro anni, fin dal 776 a.C., rappresentano un “Olimpiade”, che è proprio il nome del tempo che intercorre tra due edizioni dei Giochi Olimpici, anche se poi questi due termini sono spesso usati, sbagliando, come sinonimi. Chi fa sport ha l'abitudine di programmare la sua vita con scadenze quadriennali, orienta i suoi sforzi nel rispetto di una monoidea: far passare il tempo che scorre dal giorno della cerimonia di chiusura dei Giochi precedenti a quello della cerimonia di apertura dei Giochi successivi in modo che tutto sia orientato al raggiungimento del proprio sogno più grande. Papa Francesco ha terminato il suo primo quadriennio e non ha mai nascosto la sua attenzione privilegiata al mondo dello sport. Quattro anni fa un tweet arrivato dall'Argentina, quasi in tempo reale all'Habemus Papam, recitava così: «Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, hincha (tifoso) del San Lorenzo è il primo Papa sudamericano e argentino!». A seguire la foto di una tessera, numero 88235, del Club Atletico San Lorenzo de Almagra, storica squadra di calcio dai colori rossoblu fondata, a Buenos Aires, dal prete salesiano Lorenzo Massa.
Questo Papa rivoluzionario non ha dunque mai nascosto il suo amore per lo sport, né la sua volontà di farne metafora e strumento per costruire un mondo migliore. «Giocate in attacco, non accontentavi di un pareggio mediocre!» diceva con passione nel luglio del 2013 a centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi sulla spiaggia di Copacabana, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Fra le tante occasioni in cui Francesco si è rivolto al mondo dello sport, scelgo due momenti: al primo ho avuto l'onore di partecipare, come ct della nazionale maschile di pallavolo, quando, in occasione del 70° anniversario di fondazione del Csi, una piazza San Pietro gremita di giovani sportivi si sentì indicare le tre strade fondamentali da percorrere nella vita: «Quella dell'educazione, quella dello sport e quella del lavoro». Per chi c'era quell'esortazione scandita come monito «a voi uomini e donne dalla politica: educazione, sport e posti di lavoro!» è davvero indimenticabile. Il secondo momento che scelgo è quello dell'ottobre scorso, quando Alessandro Del Piero entrò palleggiando nell'aula Paolo VI inaugurando, con quel gesto simbolicamente enorme, la prima conferenza globale su Fede e Sport. La palla e il Vangelo, insieme. Papa Francesco, che aveva più volte ricordato che «se manca il gruppo sportivo in parrocchia, manca qualcosa», in quell'occasione parlò di «sport prezioso e al servizio dell'umanità».
Questo Papa tifoso sta capovolgendo il mondo come un'altra figura titanica, quella di Nelson Mandela che lasciò questa terra proprio pochi mesi dopo l'elezione al soglio pontificio del cardinal Bergoglio. Entrambi questi giganti hanno saputo restituire allo sport la dignità, la forza del suo essere linguaggio universale e il suo potere di cambiare il mondo. Sta a noi, uomini di sport, arrampicarci sulle loro spalle per cambiarlo davvero questo mondo. In meglio, naturalmente.
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