Fede, Chiesa e discorso pubblico: se siamo bravi, “basta la parola”
venerdì 5 giugno 2015
Voglio credere che sia un effetto collaterale della “tendenza Francesco”, posto che le parole e i gesti quotidiani di papa Bergoglio continuano a occupare il primo posto nella classifica degli argomenti ecclesiali preferiti da siti e blog specializzati. Sta di fatto che ho l'impressione che chi prende la parola in Rete e in genere in pubblico sulle “cose della fede”, quale che sia il titolo in base al quale si cala nei panni del “generatore di contenuti”, sia incoraggiato dal linguaggio diretto e immediato del Papa a osare a sua volta qualcosa in più. Provo a raccogliere una piccola antologia.Ho trovato assai incisiva l'osservazione formulata da Angelo Casati, sul blog “Sperare per tutti”, a proposito di convegni religiosi in cui si analizzano sempre gli errori altrui: «Si recita la parte di Dio». Altrettanto efficace l'espressione con cui Marco Lorusso, sul blog collettivo “Vino Nuovo”, racconta di un uomo che «nel teatro della vita» si cambia per un momento d'abito, indossando quello del samaritano.L'arcivescovo Gänswein, sempre «don Giorgio» per tanti, costruisce un'omelia a dei cresimandi sulla metafora della Chiesa come «la più grande rete mondiale, che ha più amici di qualunque pagina Facebook»: lo racconta l'agenzia “ACI Stampa”. E il blog della rivista “Radicati nella fede”, in un intenso editoriale, si interroga esplicito: «Vedremo la fine della crisi modernista?».Il dibattito intersinodale è forse l'ambito che più si presta a espressioni felici. C'è monsignor Sequeri che, a proposito di sacramento matrimoniale, indissolubilità e fallimenti, spiega che «non è mai come se non fosse successo niente»: ne riferisce “L'indice del Sinodo”, blog de “Il Regno”. E c'è naturalmente il Papa stesso, che prosegue le catechesi settimanali sulla famiglia mettendone a tema la «vulnerabilità». È questa la regola: che «basti la parola», come diceva una vecchia réclame, perché tutti, subito, comprendiamo di cosa si sta parlando.
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