Farsi capire, compito dell'Arte
venerdì 3 maggio 2019
La ben nota e vendutissima Storia dell'arte del grande critico Ernst Gombrich si apre con un'affermazione che merita di essere ricordata per il suo valore generale e la sua ricorrente attualità: «Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti». A partire da un tale principio, Gombrich svolge una riflessione che occupa l'intero capitolo introduttivo, in cui vengono commentati e confrontati quadri dei più diversi autori, da Raffaello, Caravaggio e Vermeer fino a Picasso. Prendo spunto da quell'idea di Gombrich per suggerire che l'estetica, o filosofia e teoria generale dell'arte, non basta a capire e valutare i singoli autori e le singole opere: è necessaria la nostra personale capacità di fare esperienza di ogni prodotto artistico, un'esperienza sensoriale, formale, linguistica, interpretativa, che potrà anche concludersi in un giudizio critico. Senza esperienza e senza critica, all'idea di Arte con la maiuscola non si può attribuire un valore sicuro e indiscutibile in linea di principio. Questo vale naturalmente anche per la Politica, la Religione, la Filosofia, la Scienza, la Tecnica in generale: dobbiamo giudicarle da ciò che producono coloro che le praticano, di volta in volta, epoca dopo epoca, caso per caso, individuo per individuo. Torno alle arti visive e aggiungo una delle arti che conosco meglio, la poesia. Non ci si può scandalizzare e addolorare troppo se pittura, scultura e poesia siano oggi da un lato valorizzate molto in linea di principio in quanto esempi di "creatività", mentre dall'altro sono screditate, trascurate e non hanno pubblico. È chiaro che un'arte visiva nei cui prodotti ci sia troppo poco o quasi niente da vedere, si svaluta da sé, senza neppure che il pubblico contribuisca con le sue reazioni negative. Nel corso del Novecento la pittura e la poesia moderne sono passate da una complessità reale difficile da decifrare alla pura e semplice provocazione e infine a un gergo dell'insensatezza. È circa da un secolo che la critica non osa giudicare queste arti nei loro singoli prodotti. Si sono creati così il dogma e l'idolatria di un'innovazione perpetua che da tempo non innova più e che ha finito per distruggere negli artisti la stessa perizia e tecnica artistica. Ho avuto recentemente sottomano alcune antologie di poesia cosiddetta d'avanguardia o sperimentale che spalancavano le porte a una quantità impressionante di testi nei quali non c'era molto da leggere, sebbene fossero pieni di parole. Oggi in poesia la situazione è notevolmente cambiata. Non farsi leggere e capire non è più un segno di genialità iconoclasta e creativa. Sono state soprattutto alcune autrici a portare la poesia in una dimensione espressiva, narrativa e perfino teatrale di nuova efficacia comunicativa. Cosa del tutto inusuale, l'ultimo supplemento libri di "Repubblica" ha dedicato la copertina e ben quattro pagine a una di queste autrici, Patrizia Cavalli. Se i poeti sanno farsi leggere, i lettori arriveranno. Quanto ai critici, dovranno imparare di nuovo a essere lettori prima che studiosi.
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