mercoledì 12 giugno 2019
È arrivato il caldo e come ogni anno, al solstizio d'estate, si entra nella nuova stagione secondo quel senso di ordine cosmico che domina l'universo mondo. Stavolta c'è stato un po' di scetticismo per un mese di maggio un po' anomalo, ma poi tutto ritorna e ora magari, ai primi accenni di giornate di sole prolungate, si finirà per temere
la siccità. Che situazione strana: sembriamo impauriti davanti a ogni cambiamento meteo, senza accorgerci che il cambiamento è nella natura stessa del tempo. Sui giornali di questo inizio settimana il nuovo spauracchio sono gli insetti: dalle cavallette che hanno invaso la Sardegna alle cimici asiatiche che infettano le piante. Su un giornale locale leggo addirittura di "piaga delle specie esotiche" e del conseguente business da disinfestazione: le ditte che si occupano di questa pratica sono quadruplicate nel giro di 10 anni. Quattromila imprese pronte a vendere i loro prodotti, che risolveranno il problema solo temporaneamente. Ma – dicono – «è la logica conseguenza dei cambiamenti climatici, dell'estremizzazione degli sbalzi di temperatura e di umidità, che sono l'ambiente ideale per la proliferazione degli insetti». E quindi eccoci di fronte a un nuovo allarme, che si aggiunge a quello della morìa delle api e delle farfalle, custodi della nostra biodiversità. Ora, se da un lato tale situazione desta preoccupazione tanto che Coldiretti stima perdite con valori significativi per la raccolta di mele, pere e nettarine, dall'altro ci si chiede perché resti silente un dibattito sulla ricerca, che è la fonte di investimento che dovrebbe informare un Paese serio, deciso a giocare sul medio e lungo periodo anziché sull'emergenza. Nello scorso week end sono stato sul lago Maggiore a trovare un'amica che ha creato una piccola oasi ispirata alla coltivazione naturale. Ha costruito un ecosistema secondo tecniche antiche che mettono nello stesso ambiente prede e predatori, lasciando al terreno la libertà di autoregolarsi. E mi ha colpito, alla sera, usciti di casa, vedere le prime lucciole che accendevano la notte di giugno. Era tanto che non vedevo le lucciole, ma soprattutto m'è parso raro vedere appezzamenti di orti impagliati dove tutto cresceva secondo la giusta misura e un sistema di alberi arieggiato, aperto, voluto così non solo per un problema estetico (era molto bello a vedersi), ma per favorire la giusta penetrazione di luce e di sole. Lì non si usano fitofarmaci e nemmeno insetticidi: si osserva, si agisce, si accompagna in qualche modo l'esprimersi della natura secondo la scienza dell'empirismo. Non sarà risolutivo di un problema, ma certamente è una ricchezza, se combinato con quella che chiamiamo scienza. Ma chi glielo spiega al business della disinfestazione?
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