sabato 19 maggio 2007
Esiste una tendenza molto pericolosa ad accettare tutto ciò che si dice, tutto ciò che si legge, ad accettare senza mettere in discussione. E invece solo chi è pronto a mettere in discussione, a pensare autonomamente, troverà la verità. Per conoscere le correnti del fiume, chi vuole la verità deve entrare nell'acqua. Leggo queste parole di un sapiente indiano, Nisargadatta Maharaj, morto nel 1982, proprio in apertura a un libro importante e rigoroso dal titolo emblematico, Gli stregoni della notizia di Marcello Foa (Guerini e Associati 2006). Un po' tutti sappiamo che non di rado l'informazione è fabbricata a uso di finalità non sempre confessabili; spesso scopriamo che i dati offerti dai giornali sono approssimativi e talora palesemente falsificati. Eppure lentamente ci lasciamo andare alla deriva e alcuni mezzi particolarmente potenti come la televisione avvolgono le nostre menti in una rete di luoghi comuni, di convinzioni, di decisioni che vengono acriticamente assorbite nella nostra esistenza. Ecco, allora, l'appello di quel
saggio a esercitare con vigore la ragione e il giudizio. Ma a me piace soprattutto l'immagine dell'immergersi nella verità e nella realtà, con una ricerca personale, faticosa come quando ci si deve opporre alle correnti nuotando in senso opposto. Già un grande scrittore del '900, Robert Musil, nell'Uomo senza qualità dichiarava che la verità non è una pietra preziosa da mettere in uno scrigno o in tasca, è un mare sconfinato in cui ci si deve gettare. Bisogna, allora, ritrovare il gusto della ricerca e dell'interrogazione. La stessa fede non è un'adesione a occhi chiusi e senza pensiero: anche se la scelta ultima è rischio e fiducia, essa suppone una sua coerenza interna e ha una sostanziosa premessa fondata sulla ragione. Credere e comprendere devono insieme procedere.
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