martedì 29 dicembre 2015
Curiosità opposte. Ritrovo (“Repubblica”, 14/10, p. 33) un gentile lamento che spiega tutti i ritardi italiani in tema di diritti con «la posizione geografica del Vaticano al centro delle viscere della penisola». Tutta colpa dei preti! Fa sorridere la proprietà dell'analisi, ma stessa firma (10/6/2015) hai letto che in tema di matrimonio gay «i cattolici» oppongono un passo della «Lettera di Giuda» (sic!), che però non esiste. Ma talora il pressappochismo non risparmia nessuno, anche in casa nostra. Ecco (citata in “Come se non”, Cittadella Editrice, 27/11) la certezza di un illustre ecclesiastico sul dopo Sinodo: «La dottrina della Chiesa… continua ad essere basata sull'insegnamento di Gesù circa adulterio e divorzio; l'insegnamento di San Paolo nelle disposizioni adeguate per ricevere la Comunione resta fondamentale sulla questione dell'impossibilità di dare la comunione anche ai divorziati civilmente risposati». Di qui sicurezza sul futuro: «L'esortazione apostolica del Santo Padre esprimerà ancora una volta la tradizione essenziale». Nessuna novità! L'Autore ce l'ha direttamente con l'evocazione del «discernimento, caso per caso e in foro interno», che potrebbe aprire una via diversa. Sicurezza eccessiva? Sì. Infatti il «fondamentale insegnamento di San Paolo» (I Cor. 11, 23-29), unico suo testo relativo alle disposizioni per ricevere degnamente l'Eucaristia si conclude esplicitamente proprio con l'imperativo – dokimazèto – del discernimento: «Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna». Abuso di certezze: talora peggio dell'errore.
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