sabato 19 ottobre 2019
«Studiare l'ebraismo per conoscere se stessi» ("Pagine ebraiche", 1/10, p. 12). L'invito del direttore, Guido Vitale, vale per la comunità ebraica, e per tutti i cristiani. Il «Fratelli maggiori» e il «padri nella fede» dicono di una radice comune e che l'ebraismo è «una chiave di lettura del mondo»: una! Mi torna in mente ("La Stampa", 25/8, p. 26) una pagina preziosa di Elena Loewenthal su «I silenzi dei 10 comandamenti». Vi leggo che «Le tavole della Legge non dicono tutto. Bisogna imparare a scavare tra le righe». Vale per tutti, ma con un rilievo importante per noi cattolici, perché dopo le dispute sulla iconoclastia i "Dieci Comandi" del nostro Catechismo omettono proprio quello che nell'originale è il secondo, "Non ti farai immagine". Ciò ha comportato lo sdoppiamento dell'ultimo, tra "i beni" e "la donna altrui".
Nella realtà, ciò ha portato non solo una morale sessuale che ha come "cosificato" la donna, ma soprattutto ha tolto di mezzo proprio il ruolo dell'immagine di Dio che precede tutto (Gen. 1, 26) e che è l'essere umano. Nei fatti l'autentica lettura di quel Comando comporta la differenza fondamentale tra una "religione" in cui l'uomo parla a Dio in immagine, ma "idolo muto", per impetrare ciò che desidera e una "fede" in cui Dio è voce che intima "giustizia e diritto misericordia e benevolenza". Perciò "conoscere Dio è fare giustizia all'uomo".
Decine di testi biblici lo confermano, e soprattutto è lì la chiave per cui nel Nuovo Testamento possiamo dire che l'unica vera immagine di Dio è l'uomo concreto da accogliere, immigrato da ricevere, affamato da saziare, vittima cui rendere giustizia, avversario da perdonare (Mt.25). Quel «lo avete fatto a me» ha la radice proprio in quel secondo comando che vietando le immagini ne indica l'unica vera, fratello da soccorrere con la concretezza dell'amore.
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