sabato 15 ottobre 2022
Don Luigi Di Liegro (Gaeta,16/10/1928) è tornato al Padre 25 anni fa (12/10/1997). Fratello, e anche “padre” di tantissimi “figli” senza veri “padri”. Di suo padre mi raccontò: «La prima volta che sono andato in America ho camminato per ore sulle banchine del porto di New York...Tante volte mio padre, emigrante per mantenere la famiglia, l'aveva fatto da solo quando arrivava e quando lo cacciavano». Altro ricordo: primi anni '90, mi raccontò che se il suo lavoro della Caritas romana continuava lo doveva solo a Giovanni Paolo II. Qualche tempo prima per una cerimonia ufficiale a San Paolo gli aveva detto: «Santità, ci sono tanti che non sono contenti di me». La risposta fu forte e sentita da tutti: «Non si preoccupi, don Luigi, sono quelli che non sono contenti neppure di me». Era già pronto, mi disse, il suo trasferimento punitivo dalla Caritas a una parrocchia presso Acilia. Ancora: nel corso degli anni '70 con altri preti di Roma ebbe l'idea di trovarsi, alla sera, una volta al mese a casa sua, per pregare. Si cominciò, ma arrivò il veto. Qualcuno aveva paura che i preti pregassero insieme… A tavola dopo la preghiera, si sa, chissà cosa si sarebbe detto. Parole precise: «Sì, voi pregate, ma poi mangiate…e parlate pure». Il suo posto sempre accanto agli ultimi, poveri veri, emarginati, zingari, barboni, donne perdute, ragazzi senza padre e senza madre. Obbediente, e capace di vivificare l'obbedienza con la collaborazione attiva che trasformava i progetti altrui e li riempiva di quello slancio che tutti gli riconoscevano. Il Convegno che fu detto “dei Mali di Roma” gli causò notorietà, e tanta ostilità mondana e clericale che ha contribuito a quel logorio che 25 anni fa se lo portò via, a riposarsi finalmente nel Cuore di Colui che aveva servito giorno dopo giorno negli “ultimi". Ha amato la Chiesa, don Luigi, più di se stesso, servendola sul serio, mai servendosi di essa. Nei confronti del potere politico ha avuto un solo criterio: rispetto per tutti, senza farsi mai confondere con nessuno, di nessuna parte politica, di nessuna tendenza o corrente. Riconosceva i meriti reali di tutti, ma non si legava mai ad alcuno, salvo ai poveri, ai giovani, ai suoi volontari che mandavano avanti quella macchina concreta che è diventata e continua ad essere la Caritas di Roma. Correva sempre, don Luigi, salvo quell'ora del pomeriggio in cui gli amici sapevano che potevano trovarlo a pregare, a leggere, a pensare. L'ultima volta che andai a trovarlo a casa sua faceva freddo, e lui aveva una coperta addosso, perché non c'era il riscaldamento: gli chiesi come mai. e la risposta fu, testuale: «Ma tu pensi che con quelli che incontro ogni giorno, e sono tanti e tante, io posso permettermi in coscienza di avere il riscaldamento?». Era visibilmente stanco, ma continuava a pensare agli altri, a quelli della mensa, a quelli delle strade, alle donne degli incroci, ai ragazzi zingari senza scuola. Perciò era contento della casa per malati di Aids che aveva fatto nascere, in piena clandestinità riuscita, con l'aiuto delle suore, a Campo de' Fiori. Mi parlava degli ammalati di Villa Glori, anche quelli di Aids, e anche dell'egoismo di coloro - ricchi e poveri - che avevano protestato perché non li volevano vicini. Era contento, preoccupato del modo con cui avrebbe potuto far capire all'opinione pubblica non solo l'utilità, ma la necessità che si moltiplicassero iniziative anche minime, ma efficaci, per abbattere i pregiudizi, per trovare spazio sulla stampa sempre in cerca di scoop e mai di notizie positive. Guardava avanti, al domani. Fino all'ultimo istante. Ora riposa lassù, e da lassù continua a pregare per noi: come Teresa di Lisieux «passa il suo Cielo a fare del bene sulla terra». Prete, amico, difensore degli ultimi, ultimo egli stesso. Difficile non pensare che la sua vita sarebbe piaciuta tanto a qualcuno che oggi è Papa e ci raccomanda di essere “in uscita”: da lassù anche don Luigi è contento.
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