domenica 8 agosto 2004
Un giorno Hasan al-Basri e alcuni suoi compagni andarono da Rabi'a. Essendo notte, ebbero bisogno di una lampada, ma non la
trovarono. Rabi'a, allora, si mise in bocca la punta delle dita, poi le trasse fuori. E fino all'alba continuò a irraggiare da esse una luce, come la luce di una lampada. Hasan (642-728) era un asceta musulmano arabo, vissuto a lungo a Bassora, nell'attuale Irak. Là viveva anche un'altra mistica, Rabi'a, il cui messaggio è raccolto, in una versione italiana, nel libro I detti di Rabi'a (Adelphi 1979) a cui abbiamo attinto questo delizioso aneddoto. Colui che è in comunione con Dio che è luce si rivela non solo "illuminato" ma sorgente di luce: come non pensare a Mosè che scende dal Sinai col viso circonfuso di uno splendore accecante (Esodo 34, 29-35)? Il simbolismo è, perciò, trasparente e Gesù stesso l'aveva formulato quando aveva esortato i suoi discepoli ad essere «luce del mondo, lucerna posta sul lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Matteo 5, 14-15). Per raggiungere questo fulgore spirituale è necessaria una radicale purezza interiore, un deciso distacco dalle cose, dall'egoismo e dal possesso che ci rendono opachi e pesanti. Diventa, allora, significativa un'altra parabola che mette in scena gli stessi protagonisti: «Rabi'a un giorno mandò a Hasan tre cose: un po' di cera, un ago e un capello e ordinò al messo di dirgli: O Hasan, ardi come la cera e illumina gli uomini; diventa spoglio come quest'ago e poi agisci. Per fare queste due cose, devi diventare sottile e lieve come un capello, se non vuoi che il tuo sforzo sia vano».
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