giovedì 16 marzo 2017
Disinvolti, volanti, allegri come fringuelli anche se certi argomenti non lo sono. Ecco ieri (“La Stampa”, p. 16) «Arriva il vino del Papa...». Incipit goliardico: «L'accostamento può sembrare blasfemo... in Piemonte (nella zona dell'Astigiano, terra natale dei suoi antenati) si è dato ad una vigna il nome di Bergoglio» e la cosa sorprende: pare blasfemo accostare il vino a un Papa? Sì, pensa l'autore, ma stavolta certamente no: per le vinacce «utilizzate in campo medico» e perché «fa anche bene». Ma nella Scrittura il vino è spesso presente, e nei Vangeli da Cana all'ultima Cena, fino alla promessa del “nuovo” da bere “nella vita eterna”. Perché allora «blasfemo»? La ricerca della scintilla-spettacolo si fa ridicola. Vale anche, sempre ieri, per un'altra trovata tutta eccitata a firma Gustavo Bialetti: «L'ultima speranza di Roma: il Papa in Campidoglio». Eccola: visti i disastri che capitano all'Urbe la vera ricetta salvifica per Roma sarebbe «il nuovo Patto Gentiloni»: «andare dal Papa, presentare formali scuse per la breccia di Porta Pia e chiedere che la Chiesa si riprenda Roma. Bergoglio in Campidoglio e Ratzinger in Vaticano»! Dunque Porta Pia al rovescio? No, grazie! Paolo VI nel 1970 ne ringraziò la Provvidenza. E ogni “duplicazione” è irragionevole. C'è altro? Eccome! Domenica (“La Lettura” del “Corsera” quasi tutta p. 45 – «Divinità e riti contagiosi fatti di toppe e di stracci» – identifica «il sacro» con «silenzio e dimensione separata dalla vita ordinaria e dal flusso costante del rumore quotidiano». Nessuna «religio» sfugge a questo «letto di Procuste»? Forse una religione in cui «il Verbo si fece carne... in mezzo a noi». Ignota! Riempire ogni giorno tante pagine è un impegno, e arrivano piene di vuoto! Talora forse aveva ragione l'Indro nazionale, citando altri mastri: «Sempre meglio fare il giornalista, piuttosto che lavorare».
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