sabato 10 novembre 2018
Adesso non posso. Adesso non ho tempo. Domani. Magari di più, ma non ora, più tardi. In questo momento sono troppo occupato, facciamo in un altro momento, tanto non mancherà l'occasione. Quante volte frasi di questo tipo sono uscite dalla nostra bocca. Scuse, in genere. Per rimandare, possibilmente a tempo indefinito, oppure per negarsi. Per rifiutare: una persona, un invito, un'occasione. Lo stesso facciamo tante volte con Gesù, contando sul fatto, spesso, che Lui «è buono e misericordioso» e che tanto alla fine lui «perdona tutto». Gesù, però, è anche "giusto". Per cui quando si rifiuta un suo invito bisogna fare attenzione, perché «se tu chiudi la porta del tuo cuore da dentro, Lui non può aprirla, perché è molto rispettoso del nostro cuore». E certo, «Gesù aspetta», e a chi lo rifiuta «dà una seconda opportunità, forse una terza, una quarta, una quinta... Ma alla fine rifiuta Lui». È un fatto di giustizia.
Alla relazione tra misericordia e giustizia Papa Francesco, lo scorso martedì, ha dedicato la riflessione dell'omelia nella Messa mattutina celebrata nella cappella di Santa Marta. Una relazione, quella tra misericordia e giustizia, tra perdono e giustizia, che è decisiva per la vita di ogni credente: «Ognuno di noi – ha detto il Papa – pensi: nella mia vita, quante volte ho sentito l'ispirazione dello Spirito Santo a fare un'opera di carità, a incontrare Gesù in quell'opera di carità, di andare a pregare, di cambiare vita in questo, in questo che non va bene? E sempre ho trovato un motivo per scusarmi, per rifiutare».
Come nel Vangelo di Luca, nel passo in cui si racconta la storia dell'uomo che ha organizzato un grande banchetto: «I suoi servi dicono agli invitati: "Venite, è pronto!". Ma tutti cominciamo a scusarsi per non andare. Chi perché ha comprato un campo, chi cinque paia di buoi, chi perché si è appena sposato. E sempre scuse. Si scusano. Scusarsi è la parola educata per non dire: "Rifiuto". Rifiutano, ma educatamente, allora il padrone manda i servi in strada a chiamare i poveri, i malati, gli zoppi, i ciechi e loro arrivano alla festa». Il brano, «finisce con il secondo rifiuto, ma questo dalla bocca di Gesù. Chi rifiuta Gesù... Gesù
aspetta, dà una seconda opportunità, forse una terza, una quarta, una quinta... Ma alla fine rifiuta Lui».
Perché il punto è proprio questo. È vero, Dio non si stanca mai di perdonarci, ma questo non ci esime dal dovere di rispondere, come ci ha insegnato l'enciclica di Giovanni Paolo II Dives in misericordia. Perché non c'è contraddizione tra "Dio infinitamente misericordioso" e "Dio infinitamente giusto", anzi misericordia e giustizia si tengono l'una con l'altra. Come disse lo stesso Bergoglio, citando Benedetto XVI, nella sua intervista ad "Avvenire" nel 2016, «è la giustizia di Dio, che non è quella degli uomini ma giustizia giustificante che si è manifestata in Cristo proprio nel fare misericordia. La giustizia di Dio, quando si mette in moto e opera, si manifesta come misericordia, questo sentimento viscerale di amore, tenerezza, perdono, compassione che è la "sostanza di Dio"».
Così, ci ha ripetuto martedì scorso, «alla fine entrerà nel Regno di Dio chi non rifiuta Gesù o chi non è rifiutato da Lui». Appunto perché Gesù «sì, è buono, è misericordioso, ma è giusto... E se tu chiudi la porta del tuo cuore da dentro, Lui non può aprirla, perché è molto rispettoso del nostro cuore. Rifiutare Gesù è chiudere la porta da dentro e Lui non può entrare. E nessuno di noi, nel momento che rifiuta Gesù, pensa a questo: "Io chiudo la porta a Gesù da dentro"». Però proprio di questo si tratta. Di nient'altro.
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