sabato 21 febbraio 2015
Un fiato di vento leggero ci racconta che la primavera non è lontana anche se la neve ancora imbianca le nostre montagne e il mare ha notti burrascose. E nel vento a 300 km dalle nostre sponde, ci sono anche le bandiere dell'Is portate in trionfo sui carri armati fra le grida trionfanti dei guerriglieri dal viso coperto. Gli abiti di color arancio avvolgono le vittime quasi offerte come un ultimo sacrificio, dove i sacerdoti dell'orrore, in piedi, completamente coperti di nero, alzano il coltello e si sentono padroni del mondo. Una messa in scena da spettacolo teatrale dove ha piccolo spazio la giustizia o la vendetta, ma dove la paura da incutere nei popoli liberi sembra l'elemento essenziale al quale tendono questo manifestazioni. Solo negli spiriti deboli, come quelli dei giovani che hanno nel sangue gli umori arabi dei padri, che una volta li avevano salvati attraversando il nostro mare, si sente il richiamo della propria terra di origine e si immagina di partire per una nuova guerra santa. Portano un nome europeo, ma è tropo presto perché possano coscientemente rinunciare alle loro origini. Quelle acque colorate di sangue, lungo la spiaggia che per un attimo la nostra tv ci ha fatto vedere sono una minaccia che non deve fare paura a chi ha già superato secoli di storia dove violenza, odio, ma anche restaurazione e concordia sono state elementi di costruzione per una cultura di equilibrio, di rispetto della vita. Questo nostro lungo cammino dovrebbe insegnare a rispettare l'identità culturale degli altri, a entrare nell'animo di chi ha una storia religiosa differente altrimenti dovremmo riconoscere il fallimento della nostra democrazia e della nostra cristianità. Spesso le comunità di fede islamica, residenti nei nostri Paesi sono lasciate da sole nel loro cammino di integrazione. Abbiamo quasi paura di avere con loro contatti ravvicinati, quasi la nostra fede temesse di essere corrotta. Questa distanza tra le fedi monoteiste è anche frutto della nostra debolezza, di una conoscenza superficiale delle nostre radici che ci dovrebbero suggerire comprensione e carità, interesse per chi crede in un'altra vita anche con diversi costumi. Siamo noi cristiani che dobbiamo fare un passo in più, usare il gesto e la parola per trovare una strada dove camminare insieme. Ma chi fermerà i costruttori e venditori di armi che guardano solo a chi le acquista e non a chi le usa? Chi fermerà questa terza guerra mondiale che segna a macchie di leopardo questa povera terra che vorrebbe solo essere amata, usata per la sua fertilità, per l'amore, la bellezza e la pace?
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