venerdì 18 aprile 2014
Il Venerdì Santo rimane uno dei momenti culminanti della vita di ciascun credente. In questo giorno si rammenta il cibo, in particolare, perché è il tempo per antonomasia destinato al digiuno. Tuttavia la ritualità del cibo nella Settimana Santa ha un'importanza simbolica notevole, se pensiamo al rito del giorno prima, oppure alla tradizione dell'uovo, in molti luoghi fatto benedire in chiesa, in quanto rappresentativo della sostanza e della perfezione che è venuta in questo mondo. Non si sottrae a questa simbologia neppure la colomba, che è un dolce della festa, nato da una leggenda che si lega a Colombano, santo abate irlandese, e alla regina longobarda Teodolinda. Si narra infatti che la regina favorì la predicazione del santo attorno al 612. Al che i sovrani lo invitarono con i suoi monaci a un sontuoso pranzo dove fu servita molta selvaggina rosolata; ma Colombano e i suoi rifiutarono quelle carni troppo ricche, ancorché servite in periodo quaresimale. Tuttavia, per non offendere la regina, Colombano disse che avrebbe consumato le carni solo dopo averle benedette; quindi alzò la mano destra in segno di croce e le pietanze si trasformarono in candide colombe di pane. Il prodigio colpì molto la regina che comprese la santità dell'abate e per questo decise di donare a quei monaci il territorio di Bobbio dove nacque l'Abbazia di San Colombano, che poi diede vita a una delle più grandi comunità monastiche d'Europa, dove furono codificate anche alcune scoperte relative all'agricoltura. La colomba bianca, infatti, è anche il simbolo iconografico del santo ed è sempre raffigurata sulla sua spalla.Questa leggenda ha dentro di sé tutta la tenerezza del realismo cristiano, che quando tocca il cibo non trascende mai nell'edonismo, ma semmai nella valorizzazione di un'altra misura, che non censura nulla. Solo rispettando il cibo, anche col digiuno odierno, se ne capisce infatti la cifra e il valore. E questo perché la morte (da cui la parola mortificazione) ridà la vita nel suo pieno significato. Anche per il cibo vale la stessa regola. Per questo, bene o male, tanto o poco, è importante che si partecipi tutti, in famiglia, alla scansione delle giornate che ci portano alla Pasqua. Se c'è di mezzo il cibo, infatti, tutto può diventare immedesimazione ed esperienza. Al contrario, anche la Pasqua può rimanere astratta e relativa, senza partecipazione: ossia senza mortificazione e senza festa.
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