domenica 14 novembre 2010
«La figura dell'a-
stronau
-ta sostituisce l'occhio divino». Così il Manifesto (mercoledì 10) anticipa, dalla rivista Lettera Internazionale, uno studio del filosofo tedesco Peter Sloterdijk (Rettore dell'Università di Karlsruhe), che sembra voler avviare un nuovo tipo di ateismo: quello di un moderno "dio-non-dio". Sloterdijk ha individuato, infatti, «una trascendenza tecnica creata dagli stessi abitanti della Terra, che si distingue dalla tradizionale trascendenza religiosa o metafisica per il fatto di poter instaurare con essa una comunicazione reciproca» e non «metafisicamente asimmetrica» come sarebbe quella «tra la trascendenza divina e gli uomini», tra «l'alto» e «il basso». Infatti, secondo lui, «la navigazione spaziale» ha fatto sì che «a regnare è lo stesso regime d'intelligenza: l'equipaggio che sta in basso può credere direttamente all'autorità di quello che è in alto» e viceversa. Invece, nella trascendenza religiosa, «se parlo con Dio, sto pregando. Se è Dio a parlarmi sono schizofrenico». Si tratterebbe, dunque, di «un processo di civilizzazione» che supera le intuizioni religiose delle «antiche culture dell'Asia e della Mesopotamia»: in sostanza, buddismo, induismo, ebraismo, cristianesimo. «Avere una coscienza " scrive il nostro filosofo " significa sapersi osservati e penetrati da una posizione eccentrica forte», che prima si chiamava Dio. «Se il mondo moderno " spiega " ha respinto la religione», è perché «gli individui hanno rivendicato un diritto alla privatezza, vale a dire una forma di mondo dove persino Dio, se esistesse, potrebbe entrare soltanto su invito». Trascuro il resto, perché il pensiero di Sloterdijk sembra specchiarsi (e dunque essere identico e opposto) in quello di Yuri Gagarin, il primo astronauta sovietico che, reduce dal suo viaggetto intorno alla terra (1961), proclamò: «Sono stato nello spazio, ma lassù non ho visto alcun dio».
ETOLOGIA
E MORALITÀ
L'etologia è la scienza che studia il comportamento degli animali e Marc Bekoff, professore in materia all'Università del Colorado, ne ha scritto molto (sulla loro evoluzione, sulla loro mente, sulla loro vita emozionale) e ora ha pubblicato un libro sulla loro «vita morale», che ha del sensazionale: «Ho scoperto perché gli animali sono più morali di noi». La Stampa (mercoledì 10) gli dedica una pagina con foto di moralità animale: una scimmia che coccola i suoi cuccioli, un lupetto che lecca il muso della madre, un pipistrello terrorizzato nella mano di un umano...
Sorge, però, un problema: Bekoff spiega che, naturalmente, «quello che è giusto per uno scimpanzé non è detto che lo sia anche per l'uomo». È qui che casca l'asino: che cosa vuol dire, allora, moralità?
Gli animali rubano, uccidono, abbandonano i figli deformi, sono poligami, operano in branco, scacciano dal proprio territorio i loro simili e, a volte, manifestano comportamenti solidali. Tutte queste cose le facciamo anche noi.
Per esempio " come sabato scorso Il Giornale ha titolato la sua prima pagina " «Ora possiamo cacciare i Rom». Perché allora dovrebbero essere più morali di noi? Al massimo lo saranno come noi.
Con la piccola differenza che non possiedono una coscienza.
Nemmeno nella versione del citato filosofo tedesco Peter Sloterdijk.
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