Così la tecnologia digitale mina l'anima del cinema (e non solo quella)
venerdì 27 dicembre 2019
Si chiama «de-aging» ed è una tecnica digitale che rischia di cambiare profondamente il volto del cinema di Hollywood. E non solo quello. Funziona così: si applicano sensori sul volto e sul corpo di un attore e poi, attraverso potenti computer grafici, si ritoccano difetti, si ringiovaniscono corpi e si modificano, in toto o in parte, i tratti di chi recita. E così in The Irishman di Martin Scorsese, l'ormai 76enne Robert De Niro appare anche nei panni di un ragazzo. Cosa che fino a poco tempo fa sarebbe stata impossibile.
A essere precisi sono ormai 13 anni, cioè da X-Men - Conflitto finale del 2006, che Hollywood usa questa pratica. Ma fino a poco tempo fa aveva costi proibitivi. Così solo film con budget enormi come quelli di Star Wars o quelli della Marvel potevano permettersela.
Tanti sono i detrattori dei cosiddetti «cinecomic», cioè i film tratti o ispirati da fumetti. L'ultimo dei quali è stato proprio Martin Scorsese («non sono cinema»). A noi che qui ci occupiamo di tecnologie digitali interessano di più le dichiarazioni sul tema di De Niro: «La tecnologia è un grande aiuto per il cinema, ma solo fino a un certo punto. Nel momento in cui essa modifica la vera realtà umana allora si incorre in un processo di “deumanizzazione”. Si trasforma il cinema in qualcosa di "cartoonesco"».
È indubbio che il cinema sarebbe molto diverso senza la tecnologia, a partire da quella che introdusse il sonoro nei film. Ma qui il punto è un altro. Per certi versi molto più vicino al mondo del «fake», cioè del «falso».
A pensarci bene infatti non siamo poi così lontani da quei sistemi che con l'uso dei computer (e in alcuni casi della cosiddetta intelligenza artificiale) creano articoli, immagini, audio e filmati falsi, facendo fare e dire ai protagonisti cose che non hanno mai fatto o detto.
Penserete: ma qui stiamo parlando di arte e non di bugie. Vero. Ma solo in parte. Perché un mondo come quello di Hollywood – dove, mano mano che passano gli anni, costerà sempre meno riportare in vita figure leggendarie e costruire scene impensabili, così da rendere queste tecniche alla portata di sempre più registi – non potrà che venire profondamente cambiato da tutto questo. E con esso tutto il mondo dello spettacolo. Se nel 1991 molti rimasero a bocca aperta vedendo l'allora quarantenne Natalie Cole duettare nella canzone Unforgettable col padre Nat King Cole, morto quando lei aveva 15 anni, tra poco tutti potranno duettare facilmente con qualunque artista scomparso, riportando sulle scene qualunque vip del passato come se non fosse mai morto.
Saremo monotoni, ma ogni volta che affrontiamo l'avanzare inesorabile e sempre più veloce della tecnologia, ci accorgiamo come quella che appare lenta e poco lungimirante sia la politica. Perché è la politica che deve mettere i paletti a tutto ciò. Decidere cioè chi può essere riportato in vita via computer e con quali eventuali limitazioni. Perché oggi possiamo anche non vederlo, ma occorre mettere paletti anche alla possibilità di creare scene nelle quali chiunque può impersonare chiunque, facendogli fare e dire ciò che vuole. Perché oggi certi effetti può permetterseli solo Hollywood, ma fra pochi anni basterà un'app per averli a nostra disposizione. Come sanno bene coloro che sottovalutavano i video fake e oggi sono giustamente terrorizzati dalla facilità con la quale li si possono creare.
Perché il punto è sempre il solito: se chiunque può e potrà realizzare con sempre più facilità articoli, immagini, video o audio falsi, creando dichiarazioni, interviste e «prove video» così perfette da sembrare vere, chi difenderà quella parte enorme della società che già oggi fatica a distinguere ciò che vero da ciò che è falso?
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