giovedì 30 giugno 2022
Dal punto di vista medico-scientifico l'aborto è definito come l'interruzione della gravidanza e la morte del concepito prima della ventesima settimana di gestazione; in passato si usava anche l'espressione «prima del 180° giorno». Ciò viene ripreso anche nell'ambito morale e giuridico, intendendo l'interruzione prima che il feto sia capace di vita autonoma al di fuori del grembo materno.
L'aborto si definisce spontaneo quando avviene per cause naturali senza alcun intervento umano, procurato o provocato quando si deve a un intervento esterno: su stretta indicazione medica per salvaguardare la vita della madre, il cosiddetto "aborto terapeutico"; per altre ragioni, secondo la valutazione e decisione della donna. Ma, tra terapeutico e non, la distinzione è sempre più sfumata, con legislazioni – come quella italiana – che tendono ad allargare il concetto di terapeutico con riferimento alla salute fisica o psichica della donna. Anche il discorso temporale si sta modificando alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e tecnologiche. La possibilità di garantire la sopravvivenza di feti molto prematuri rende difficile il confine tra feto non vitale e vitale, cioè tra aborto e soglia della vita autonoma. La stessa legge194 ricorda la "mobilità" di tale soglia: «Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto». Le modalità stesse per provocare l'aborto sono cambiate con la Ru486 (mifepristone) e le prostaglandine (aborto chimico), che si possono usare fino alla nona settimana di gestazione, in ambulatorio, portando a una maggior "privatizzazione" dell'aborto e trascurando quegli aspetti di impegno sociale delle istituzioni per aiutare la donna incinta e prevenire l'aborto. Ci sono poi farmaci che bloccano l'impianto in utero dell'ovulo fecondato ("contragestativi-intercettivi"), come la "pillola del giorno dopo" (Norlevo) o dei "cinque giorni dopo" (EllaOne). Tutto ciò è difficile da collocare nella visione e nelle procedure della 194, quindi rimane il problema di come gestire queste modalità farmacologiche chiarendo responsabilità delle persone coinvolte e del sistema sanitario.
Sono considerazioni che devono aiutare tutti a riprendere la questione dell'aborto procurato. Non è una questione solo medica o di sicurezza: serve un approccio interdisciplinare e una responsabilità della donna, della coppia, dell'intera società, perché ogni vita umana, fin dal suo inizio, sia accolta e tutelata e nessuno veda l'aborto come la soluzione di una gravidanza non prevista. È sempre più urgente promuovere informazione, educazione e servizi socio-sanitari adeguati, per realizzare un aiuto concreto alla maternità e per la prevenzione dell'aborto, ad esempio con la possibilità di far nascere un figlio affidandolo subito all'adozione, nel rispetto dell'identità della madre, come previsto dalla legge.
Cancelliere
Pontificia Accademia per la Vita
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