giovedì 23 febbraio 2017
Mi torna spesso in mente un passaggio del romanzo di Georges Bernanos Diario di un curato di campagna. Riguarda un soggetto forse inatteso, che possiamo esprimere con una domanda: i nostri templi devono essere puliti o sporchi? È chiaramente un interrogativo che va inteso in senso simbolico, ma i simboli funzionano veramente solo se ancorati alla realtà che rispecchiano e che sfidano. I templi devono essere puliti o sporchi? Bernanos parte dall'esempio di una sacrestana così zelante della pulizia della chiesa da guardare i fedeli che vi entravano come una minaccia e un disturbo. Un fedele in visita al tempio era, per lei, un'avversità. È in tale contesto che lo scrittore sostiene: «Una parrocchia è forzatamente sporca. Una cristianità è ancora più sporca». Una Chiesa maniaca dell'organizzazione e dell'ordine, ossessionata da un regime di purità, tiene a distanza le persone. Diventa un luogo di cerimonie, statico e ineccepibile come un museo, ma non è più un territorio di celebrazione della vita, esposto alla quotidianità, alla sua turbolenza e alle pedate lasciate in giro. Rimane sequestrata dal formalismo e dallo zelo, invece di farsi canale di misericordia e di gioia. Si concentra sull'odore della naftalina quando dovrebbe contaminarsi, come raccomanda papa Francesco, dell'odore delle pecore.
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