sabato 1 ottobre 2022
Ippolito Aldobrandini, "confratello" illustre: marchigiano come Sisto V, già Papa mancato per poco in due Conclavi di seguito, 1590 e 1591, fu eletto il 30 gennaio 1592: Clemente VIII. A modo suo sfortunato: è passato alla storia come quello che fece bruciare Giordano Bruno in pieno Anno Santo. Era il 17 febbraio del 1600. Per la verità il 9 giugno toccò anche a Francesco Moreno, pugliese, e il 25 all'ebreo Servadio. Tempi feroci. Lui per natura non lo era. Anzi. Quando l'11 settembre del 1599 gli annunziarono l'esecuzione della famiglia Cenci, e in particolare della giovane Beatrice, per l'assassinio del padre, violento e corrotto, raccontano che fu preso da uno scoppio di pianto. In fondo era un buono, e facile alla lacrima. Nel corso dell'Anno Santo, nel pieno delle più grandi celebrazioni, si commoveva e scoppiava in pianto. Si era messo sul serio a prepararlo, quel Giubileo del secolo in arrivo: due congregazioni di cardinali per l'organizzazione spirituale e logistica. Alloggi per i pellegrini, prezzi sotto controllo, pulizia delle strade, allontanamento del bestiame e confino, fuori Porta del Popolo, per le prostitute romane. In verità i pellegrini venivano proprio da lì: l'ultima tentazione del romeo, poi magari penitente. La città si presentava magnifica, il volto rinnovato da Sisto V, le nuove piazze a San Pietro, dominata dal Palazzo Sistino e dalla Cupola finalmente completata, San Giovanni, Santa Maria Maggiore e tante altre, con gli obelischi trionfali. Doveva cominciare, il Giubileo, il 24 dicembre, ma un attacco di gotta del povero Clemente rimandò l'apertura al 31: suono delle campane e spari dei cannoni di Castel Sant'Angelo per tre giorni. Un putiferio. I centomila abitanti e le centinaia di migliaia di pellegrini furono edificati dal papa che - a parte i roghi - saliva in ginocchio la Scala Santa, faceva penitenza, digiunava mercoledì e sabato, ascoltava devoto le prediche negli oratori in mezzo alla gente, lavava i piedi ai romei a Trinità dei Pellegrini e ogni giorno ne voleva dodici a tavola con lui, che li serviva. I cronisti parlano di tre milioni di arrivi. Oltre i roghi, quello fu un Giubileo di conversioni famose: il 17 giugno due eretici si confessarono dal Papa e si rifecero cattolici, il 5 agosto i protestanti convertiti furono 40 tutti insieme, e tra loro Giusto Calvino, parente del celebre Giovanni, che Clemente volle cresimare personalmente, e poi si fece frate carmelitano scalzo. Quello fu anche anno di cortei meravigliosi e fiabeschi che sostituirono il Carnevale. Sfilarono per le vie di Roma ben 408 Confraternite forestiere. A lui, però, non toccò solo la cura dei roghi e dell'Anno Santo. Si dovette occupare del trono di Francia, che affidò al convertito Enrico di Borbone, prima calvinista e scomunicato da Sisto V, del Ducato di Ferrara, e del completamento della Riforma Cattolica. Indisse a Roma una grande visita pastorale, per rimettere ordine nelle anime, arbitrò con difficoltà la lunga diatriba sulla grazia e sul libero arbitrio tra gesuiti e domenicani, fece stampare i nuovi libri liturgici, messale e breviario, fece rivedere la traduzione latina di tutta la Bibbia, e ne venne fuori la Vulgata Clementina, giunta fino a noi, e ammodernò l'Indice dei Libri proibiti. Insomma: a modo suo non solo lacrime, ma un papa serio, "il Gran Clemente", come lo chiamò Torquato Tasso, pellegrino anche lui. Morì per un colpo apoplettico il 3 marzo del 1605, fu sepolto in San Pietro e poi trasferito a Santa Maria Maggiore. E le lacrime? Ne riparliamo per Siracusa...
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