giovedì 30 marzo 2017
Esiste nel nostro Paese «un cattolicesimo popolare, e specialmente contadino, fatto di immediatezza e di devozione, di pietà per la condizione umana, che è diventato in qualche modo parte costitutiva dell'antropologia italiana, e ha trovato e trova modo di esprimersi soprattutto nei momenti tragici della vita delle singole collettività e della nazione. È allora che viene alla luce questo indistinto fondo cristiano dell'"umile" Italia, è allora che si percepisce quanto esso sia presente e operante». La lunga citazione è tratta dal volume L'identità italiana, che inaugurava nel 1998 l'omonima collana edita dal Mulino ove negli anni successivi sarebbero usciti saggi utili a comprendere il nostro modo di essere e di comportarci (si pensi a La pasta e la pizza di Franco La Cecla o a L'autostrada del Sole di Enrico Menduni) o dedicati a figure rilevanti della nostra storia, come Gioberti di Giorgio Rumi e I santi patroni di Marino Niola. L'idea della collana era dello storico Ernesto Galli della Loggia, che è anche autore del libro citato all'inizio. Un libro davvero importante per capire i tratti e le dinamiche forti del nostro passato, dall'asse Nord-Sud alla povertà strutturale di alcune zone del Paese, dall'assenza di una cultura dello Stato alla bellezza dei nostri paesaggi e dei nostri siti culturali, dal rapporto fra intellettuali e potere al confronto-scontro fra Chiesa e Stato.
In quest'ultimo caso per Galli della Loggia, che nei suoi editoriali sul Corriere della sera più volte ha denunciato l'irrilevanza politica dei cattolici, si tratta di una relazione ambivalente. Se il sostrato religioso emerge soprattutto in occasione delle grandi tragedie, come nel caso dei recenti terremoti che hanno colpito l'Italia centrale; se la fede cristiana ha rappresentato per tanti secoli «l'unico tratto effettivamente comune all'intera umanità italiana e quindi l'unico aspetto unificante della penisola», va allo stesso modo riconosciuta l'esistenza di «un rapporto sempre complesso, problematico e non di rado conflittuale che l'Italia, e soprattutto le sue classi colte e politiche, hanno intrattenuto storicamente con la Chiesa». Per Galli della Loggia il prezzo dell'unità religiosa della penisola è stata un'ipoteca pesante su una sua eventuale unità politica, raggiunta in grave ritardo rispetto alle altre grandi nazioni europee. Ma in Italia si è verificato anche un altro fenomeno: il costituirsi di una cultura laica che ha finito «per concepirsi come una sorta di antichiesa», con i suoi intellettuali contrapposti ai chierici.
Parole apprezzabili e sincere dello storico, il quale rimarca poi come «da Petrarca a Machiavelli, da Alfieri a Gobetti, da Manzoni a Pasolini si dispiega per secoli sulle orme di Dante l'egemonia degli intellettuali letterati sul discorso storico-politico italiano», che si esprime soprattutto con toni moraleggianti. Un lamento per la condizione politica del Paese che vede soprattutto nell'assenza dello Stato e nel dilagare dei particolarismi i suoi deficit più gravi. Fattori ideologici hanno anche pesato sulla scarsa cultura pubblica che siamo stati in grado di esprimere attraverso le nostre classi colte ma anche nei ceti popolari: «Molta politica, poco Stato» sintetizza efficacemente Galli della Loggia, che rammenta dal punto di vista storico un'altra grande assenza, quella della cultura. Alla metà dell'800 il 70-80 per cento della popolazione non sapeva né leggere né scrivere e questo è un retaggio che ancora ci perseguita nonostante la scolarizzazione di massa del '900.
Il distacco fra politica e cultura, fra intellettuali e popolo ha finito per premiare oligarchie e corporazioni. Come salvarci allora? Oltre all'anima cattolica del nostro popolo ricordata all'inizio, Galli della Loggia esalta «la straordinaria struttura di rete così tipica dell'identità italiana», la «molteplice diversità» che costituisce la sua forza e la sua bellezza e che spesso riesce a vincere i campanilismi e a divenire amalgama.
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