domenica 4 agosto 2019
L'estate è propizia al riapparire d'un oggetto a lungo dimenticato, rimosso, lasciato a ingrigirsi di polvere come in certe famiglie si fa con il vecchio nonno sul dondolo: il libro. Parolina, non parolaccia, senza ombra di dubbio perché tutti i libri sono buoni, anche quelli cattivi, se l'occhio, la mente e il cuore di chi legge sono dotati di abilità critica.
Spolveriamo dunque il nonno, cioè il libro, e portiamolo con noi in vacanza. Ma quale portare? Dipende dai gusti, dalla stagione della vita, dalla località, dal tempo a disposizione. A Ventotene, per Guerra e pace non bastano le due settimane, a essere generosi, che il portafoglio consente. Ci vorrebbe un bel confino come ai vecchi tempi. E Proust sarebbe la compagnia adatta per Magellano o Marco Polo. Meglio un giallo o un Urania, dove si corre e se salti qualche descrizione, viziaccio appreso alle superiori, non succede niente. Non coltiviamo vani sensi di colpa: gli autori sanno benissimo che le loro descrizioni – esercizi virtuosistici messi lì per l'editor e i colleghi scrittori, per dimostrar loro quanto son bravi – le leggono solo i secchioni, e se sei secchione alle superiori, resterai secchione per tutta la vita. Saltare non fa male a nessuno.
Non tutti i luoghi sono uguali. In spiaggia l'attenzione cala, troppe distrazioni. Qui difatti la lettura più frequente è il rotocalco, che richiede un tempo massimo di concentrazione attorno ai 40 secondi, sufficienti per leggere, sillabando, la didascalia d'una foto. La spiaggia è pericolosa: se rimane al solleone, il libro raggrinzisce; se investito dagli spruzzi dei ragazzini nel loro via vai dall'acqua, invecchieranno di 40 anni come in una foto di faceapp. E in montagna? Molto meglio. Per segnalibro funziona magnificamente un fiorellino, purché sia flora non protetta. I tempi di lettura ininterrotta si allungano e riusciamo a comprendere frasi contenenti perfino una subordinata e un inciso, lussi che molti autori contemporanei non osano permettersi.
Dicevamo: anche i libri cattivi sono buoni. Un paradosso? Sì. Quasi tutti i libri cattivi sono acquistati ma non letti (le classifiche non tengono conto di simile dettaglio, quindi vanno ignorate) perché chi si lascia attrarre da un libro cattivo, pensando di provare piacere nel ritrovare pensieri che egli già pensa così da poter concludere: “Oh, come sono intelligente! Oh, come ho ragione!”, di solito non è che non sappia leggere, qualcosa ricorda, ma la lettura gli provoca una fatica sovrumana e smette quasi subito, per dedicarsi alla scortecciatura di un gratta e vinci o a insulti vomitati sul social network in un italiano improbabile. Certi editori buoni sanno che pubblicando solo libri buoni non sopravvivrebbero, così ne pubblicano qualcuno cattivo con la consapevolezza che, non essendo letto, tanto danno non provocherà. Non è del tutto esatto ma bisogna capire.
I libri cattivi assecondano lo spiritaccio del tempo con la sua voglia inesausta di odio, livore, delazione, insulto e parolaccia. Dicono menzogne; i più abili le mescolano a qualche verità così da renderle meno facilmente distinguibili. I libri cattivi non fanno pensare e non sollecitano lo spirito critico; si rivolgono a tifosi alla ricerca di conferme alle loro fragilissime convinzioni. I libri buoni, invece, sono quasi sempre storie in cui c'è la vita in tutte le sue sfumature, il lettore diventa il personaggio e vive, viaggia, piange, ride, si dispera, gioisce e ama come lui. I libri cattivi si dimenticano; i libri buoni si ricordano per sempre. Dove, quando e con chi li abbiamo letti. Passando davanti allo scaffale, anche dopo tanti anni gli diciamo grazie.
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