domenica 2 giugno 2019
Nuovo e novità per alcuni sono sempre parolacce disgustose; per altri sono sempre paroline dolci e suadenti. Per altri ancora bisogna vedere, giudicare e agire di volta in volta, ricorrendo a un'altra parola molto importante: "discernimento". Una parola di cinque sillabe è decisamente (quattro sillabe…) troppo lunga e affatica i poveri cervelli poco allenati che la allontanano con fastidio. Perché discernere? Basta applicare il manuale, la regolina, o ascoltare il leader per sapere subito se una cosa nuova è buona o cattiva, giusta o sbagliata. O no?
No! La Chiesa fa discernimento, e invita a farlo, da tempo immemorabile. Chi ha memoria ricorda come la parola "novità" stia proprio all'inizio del testo che ha dato vita alla grande stagione della dottrina sociale della Chiesa, o se preferite del pensiero sociale. Rerum Novarum significa appunto "delle novità" ed è l'enciclica di papa Leone XIII promulgata il 15 maggio 1891. La Chiesa non girava la testa dall'altra parte e prendeva atto delle enormi novità che stavano trasformando la vita delle persone, fino a sconvolgerla. I modi di produrre, di lavorare, di accumulare enormi fortune da parte di pochi e di impoverirsi da parte di moltissimi erano fenomeni di fronte ai quali non c'erano manuale da consultare né norme da applicare. Le novità esigevano un modo nuovo di pensare: da una parte il Vangelo, immutabile; dall'altra la storia, che procede a strappi, provocazioni e sorprese; in mezzo la nostra intelligenza illuminata dalla fede, entrambe doni di Dio.
Qui nasce il concetto nuovo, per nulla scontato, della persona al centro del processo produttivo. Di un occhio di riguardo verso i più deboli. Di dignità. Del giusto salario, con la condanna dell'impresario che approfitta dello stato di necessità del lavoratore per imporgli compensi da fame. Nell'enciclica ad esempio si può leggere (33): «Prima di tutto è dovere sottrarre il povero operaio all'inumanità di avidi speculatori, che per guadagno abusano senza alcuna discrezione delle persone come fossero cose». Ci sono condanne (del socialismo, del capitalismo avido, della massoneria...), ma soprattutto proposte, come l'invito ad associarsi per tutelare i propri diritti.
Le novità non sono né rifiutate come cattive né accolte acriticamente in quanto nuove. Invece si ragiona, si discerne, si mette in moto il cervello avendo come punti di riferimento Cristo e il Vangelo. È quanto invita a fare un altro bellissimo testo, l'esortazione apostolica di Paolo VI Evangelii Nuntiandi, promulgata l'8 dicembre 1975, che raccoglie le riflessioni emerse durante il Sinodo sull'evangelizzazione (settembre-ottobre 1974). Che fare di fronte alle novità? Annunciare il Vangelo, per la Chiesa, significa «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza» (19).
Il Vangelo è forte e sconvolge. Eppure non basta: occorre anche conoscere le novità che il mondo ci propone, ossia linee di pensiero, modelli di vita, valori del momento. Occorre fare discernimento. Non basta neppure proporre, o imporre, una "cultura cattolica" che per Paolo VI non esiste: «Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l'evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna». Le culture «devono essere rigenerate mediante l'incontro con la Buona Novella» (20). Incontro, non scontro. Senza sconti, senza paura, con intelligenza.
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