mercoledì 5 settembre 2018
A Genova spariscono tre botteghe storiche al giorno, ma non se la passano meglio le altre città dove i negozi di prossimità mostrano spesso il cartello di "cessata attività". E questo vale per la grande città come per la periferia. Il peggior nemico non sarebbe più la grande distribuzione, quanto l'e-commerce. Si acquista di tutto e la merce viene recapitata a casa, anche se qualcuno sta pensando che sarebbe un peccato perdere la rete dei negozi, edicole comprese, che a loro volta potrebbero rappresentare l'alleato ideale per l'e-commerce, come punto di consegna certo. Certo il mondo sta cambiando, ma quanto va annoverata al progresso la spoliazione dei centri che spengono le luci dei propri negozi? Nel panorama mutato aprono gli street food, che poi chiudono nel giro di una stagione.
La legge della domanda e dell'offerta non fa sconti: quando è troppo si arriva al collasso. Guido Porrati, che si definisce “bottegaio” a Rapallo, ha accettato di stendere un manifesto per le botteghe alimentari italiane. Un atto per dire che dietro a un negozio non c'è solo una mera attività di compravendita, ma c'è conoscenza, professionalità, che in qualche modo va salvaguardata. Il manifesto, che sarà firmato a Milano il 28 ottobre a Golosaria, è declinato in dieci punti, ma la prima parola che salta all'occhio è “distinzione”. Chi si distingue ce la può fare; chi imposta la propria bottega secondo il triangolo “unico centro acquisti-dettaglio-consumatore” deve fare i conti con quella distribuzione che mette in atto economie di scala e acquisti più competitivi.
Così il primo punto del Manifesto è spiazzante: «La bottega italiana è interpretazione dei cambiamenti e non nostalgia di una congiuntura passata». Per cui la crisi diventa uno stimolo a percorrere l'unica strada: la distinzione. Come? Con la ricerca dei produttori di prossimità, gli stessi che hanno cercato sfogo nei “Gas” (i Gruppi di acquisto solidale) perché avevano esigue quantità di raccolti di frutta e verdura. Ma occorre che facciano rete fra loro, le botteghe, perché diventino massa critica per “raccontare” un territorio. Il quinto punto è affascinante: la bottega italiana è venditrice di stile di vita (l'italian way of life), ma è soprattutto presidio sul territorio, capace di attrarre persone che vengono anche da molto lontano. Il bottegaio poi è maestro di accoglienza, comunicatore, creatore di un luogo dinamico che scommette sulla personalizzazione dell'offerta.
Nei giorni scorsi a Carmagnola, il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo ha parlato di fatturati di miliardi per i punti di Campagna Amica, ossia di un progetto riuscito. A quando allora un progetto per il commercio virtuoso, che istituzioni e associazioni di categoria sembrano non voler guardare, voltando le spalle a un comparto che rischia l'agonia?
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