sabato 26 ottobre 2019
Si sa che il pontificato di Giovanni Paolo II è stato uno dei più lunghi della storia, per la precisione il terzo o il secondo a seconda che, in questa classifica, si consideri o meno quello di san Pietro, a cui il primato di lunghezza è attribuito dalla tradizione. Nessuna incertezza invece sul fatto che Wojtyla sia il Papa che ha prodotto più documenti di qualunque altro, al punto che l'unico modo per avere un quadro esatto di tutta la sua attività è andare sul sito vaticano (w2.vatican.va) , visto che le statistiche che circolano in rete sono tutte più o meno imprecise. Uno dei documenti, per esempio, che in queste statistiche è sempre o quasi dimenticato è la Lettera agli anziani, della quale proprio in questo mese di ottobre ricorre il ventesimo anniversario . Giovanni Paolo II la scrisse nel 1999, che era stato proclamato Anno dell'anziano; un testo bellissimo, «dea anziano ad anziani», molto delicato e, a rileggerlo oggi, attualissimo. Nel quale, tra l'altro, il Pontefice osservava come «se ci soffermiamo ad analizzare la situazione attuale, constatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è stimata e valorizzata; presso altri, invece, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l'utilità immediata e la produttività dell'uomo». Eppure, aggiungeva, «gli anziani aiutano a guardare alle vicende terrene con più saggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e maturi. Essi sono custodi della memoria collettiva, e perciò interpreti privilegiati di quell'insieme di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato, in cui affondano le radici del presente, in nome di una modernità senza memoria».
Sulla scia Wojtyla anche Benedetto XVI e Francesco hanno ripetutamente affrontato questo tema nei loro interventi. Ratzinger ha lamentato in diverse occasioni come «spesso la società, dominata dalla logica dell'efficienza e del profitto, non li accoglie come una ricchezza... considerando gli anziani come non produttivi, inutili. Tante volte si sente la sofferenza di chi è emarginato, vive lontano dalla propria casa o è nella solitudine. Penso che si dovrebbe operare con maggiore impegno, iniziando dalle famiglie e dalle istituzioni pubbliche, per fare in modo che gli anziani possano rimanere nelle proprie case». E questo perché «la qualità di una società, di una civiltà, si giudica anche da come gli anziani sono trattati e dal posto loro riservato nel vivere comune». Un'espressione, quest'ultima, che Bergoglio ha citato tante volte, nella sua costante denuncia di come proprio gli anziani siano le prime vittime di quella "cultura dello scarto" che avvelena la società. Nel 2015, dedicando agli anziani le catechesi di due, udienze generali, ha detto che «una società dove non c'è posto per gli anziani, dove gli anziani vengono scartati perché creano problemi, porta con sé il virus della morte», spiegando come «l'attenzione agli anziani fa la differenza di una civiltà». In quell'occasione ha raccontato l'aneddoto di quell'anziano «che nel mangiare si sporcava, perché non si poteva portare il cucchiaio alla bocca, e così il figlio aveva deciso di spostarlo dalla tavola comune in cucina, dove non si vedeva e così non faceva brutta figura quando venivano persone a pranzo o a cena. Qualche giorno dopo il figlio più piccolo stava giocava con martello e chiodi, e il papà gli ha chiesto: "Cosa fai?". "Faccio un tavolo – la risposta – per averlo quando tu diventi anziano, così tu puoi mangiare lì". I bambini hanno più coscienza di noi», fu la conclusione di Francesco. In fondo basterebbe ricordarsi che, prima o poi, essere anziani toccherà a tutti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI