Anche nello sport gli eroi alla fine restano da soli
mercoledì 23 maggio 2018
Lacrime di Luigi Buffon per l'addio alla Juventus, lacrime di Walter Zenga per l'addio (o almeno arrivederci) alla Serie A del suo Crotone, lacrime di Max Allegri per il suo quarto Scudetto consecutivo, lacrime di Fabio Aru per una crisi nera sulle dure salite friulane che lo ha definitivamente allontanato dalla Maglia Rosa, lacrime che meriterebbero un approfondimento freudiano quelle di Stefan De Vrij per aver causato un rigore che fa svanire il sogno della Champion's League alla Lazio (da dove lui se ne andrà) e lo fa materializzare all'Inter (dove lui andrà a giocare). Occhi lucidi mescolati a sorrisi per l'addio al calcio di Andrea Pirlo e lacrime versate a fiumi da Andrés Iniesta per l'addio al Barcellona che fa piangere uno stadio intero come Totti un anno fa.
La settimana sportiva ci ha inondati di lacrime, ricordandoci che lo sport è un veicolo straordinariamente efficace per il trasporto delle emozioni e che gli sportivi, eroi moderni, hanno in mano un potere smisurato.
Il parallelo con l'antichità classica quando le lacrime degli eroi erano quasi taumaturgiche, fa venire in mente un episodio della Atene gloriosa, flagellata dalla peste nel 429 a.C. Gli Ateniesi, che ben conoscevano le epiche lacrime di Achille per l'amico Patroclo, ucciso da Ettore, vedevano avanzare con il portamento di sempre il condottiero più grande, l'uomo più potente di Atene, il miglior Greco, oratore, stratega, capace con una parola o con uno sguardo di cambiare il destino della sua città, uno di quegli uomini destinati a dare il meglio di sé nei momenti più difficili. Era Pericle e avanzava verso il Ceramico, con una corona in mano, davanti agli occhi attenti del suo popolo che, in un momento così duro, cercava in lui certezze cui aggrapparsi con tutte le forze. D'altronde Pericle, era nato da Agariste che pochi giorni prima del parto aveva sognato di dare alla luce un leone, aveva abbellito la città, fatto costruire il Partenone, era un legislatore illuminato, uno cui affidarsi.
Quella mattina Pericle avanzò senza indugi verso l'ennesimo cadavere ucciso dalla peste, ma a pochi metri qualcuno scorse un tremito. Il corpo cui Pericle stava per rendere omaggio era quello del figlio più giovane, Paralo. Il grande condottiero si inginocchiò e fece un gesto, come per sfiorarne il viso. Il tremito diventò incontrollabile finché Pericle si gettò sul corpo emettendo un lamento, che si levò fino in cielo e che sembra udirono in tutta Atene. Per la prima volta pianse le lacrime che non aveva pianto mai in tutta la sua vita fatta di battaglie, sconfitte, vittorie, trionfi, tradimenti. Pianse a lungo e quando terminò intorno a lui erano rimasti solo i fedelissimi. Gran parte della gente che aveva assistito a quella scena era già corsa per tutta Atene a dire che l'uomo forte era crollato, che il condottiero non era stato capace di resistere al dolore: quella pubblica debolezza decretava inesorabilmente la fine del suo domino morale.
Sono passati quasi 2.500 anni e le lacrime dei nostri eroi sembrano avere un sapore diverso. Eroi che ci hanno fatto sognare, si avvicinano di sorpresa a noi, rendendo umano il loro canto di addio. Dopo essere stati irraggiungibili, all'ultimo minuto si fanno prendere, toccare, ritornano umani. Alla nostra portata, alla portata delle nostre stesse lacrime. Piangere insieme a loro ce li fa sentire più umani e ci fa sentire un po' eroi. Hanno sudato tanto questi eroi sportivi, nei loro anni più belli e proprio per quello li abbiamo amati. D'altronde anche il sudore è acqua salata. E questa sintesi fra il sudore che è elemento fondamentale di vittoria e le lacrime che segnano la fine di un obiettivo per cui correre, forse, sono un vero e proprio balsamo. Noi non corriamo in giro a raccontare che Pericle è crollato, ci fermiamo lì a piangere con lui.
D'altronde, come diceva la scrittrice danese Karen Blixen: «La cura per ogni cosa è l'acqua salata: sudore, lacrime o mare».
Ai nostri eroi resta la solitudine del dopo con cui fare i conti, anch'essa regalataci, in questa settimana così densa di emozioni, da una fotografia che vale più di mille parole: Andrés Iniesta seduto nel cerchio di centrocampo all'una di notte, nello stadio deserto, a piedi nudi e con addosso la maglia del Barcellona. È bello pensare che non sia un set, ma un'immagine vera, in qualche modo rubata. Forse non lo sapremo mai o, forse, non vorremo saperlo quando, guardandola, ci verranno ancora una volta gli occhi lucidi.
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