giovedì 15 dicembre 2016
Puzza davvero di stantio il dibattito sugli intellettuali e sulla loro fine che ogni tanto riappare sulle pagine culturali dei quotidiani. Dal famoso grido di dolore di Julien Benda nel suo saggio La trahison des clercs del 1927 a molti altri j'accuse rivolti agli "uomini di sapere" per i loro compromessi col potere, particolarmente gravi al tempo dei totalitarismi del '900, oggi siamo ormai alla presa d'atto della loro decadenza.
Non è inutile allora ricordare un testo di Jean Daniélou uscito in Francia nel 1972 e dal titolo emblematicamente provocatorio, La cultura tradita dagli intellettuali. Un volume uscito in Italia due anni dopo presso l'editore Rusconi e a lungo rimasto assente dalle nostre librerie, fino alla ripubblicazione nel 2012 per i tipi di Lindau. Oltre a porsi le consuete domande che ancor oggi si ripresentano (Esiste un'etica dell'intelligenza? L'intelligenza ha dei doveri?), il gesuita e cardinale francese affondava i colpi denunciando la svalutazione della letteratura e della cultura in genere. «Per questo – scriveva – molti intellettuali quando tentano di impegnarsi si danno alla politica, pensando che la creazione di un'opera non impegni e che l'impegno cominci soltanto a livello dell'azione». Non che il nostro teologo volesse denigrare il valore dell'attività politica, ma a lui stava a cuore un'altra battaglia, quella rivolta contro «il disprezzo per l'intelligenza e la cultura, il che spiega lo scadimento della vita dello spirito».
Quando parlava di cultura, Daniélou aveva in mente soprattutto la cultura letteraria: «Oggi fa la parte del parente povero, subisce l'allettamento della scienza e diventa preda dei sociologi, degli psicanalisti e dei linguisti». Ma così si dimentica che la letteratura riveste una funzione insostituibile nella società, quella di essere «strumento di cultura interiore». Essa infatti ha una parte essenziale nel far percepire nelle cose visibili un contenuto nascosto. I veri scrittori, ma si potrebbe dire lo stesso per ogni artista, danno insomma alla civiltà il senso del mistero dell'uomo: «Arte è percepire la profondità del reale ed è triste vedere una specie di nausea per quello che è il fondo inesauribile della realtà». Inevitabile il riferimento a Sartre.
Nella sua analisi il nostro cardinale, giustamente riabilitato su queste pagine in un articolo di Filippo Rizzi (20 gennaio 2010) dalle accuse di essere morto fra le braccia di una prostituta, si rifaceva al Credo di Paolo VI del giugno 1968, che indicava tre correnti di pensiero che gli parevano contrarie all'intelligenza autentica. In primo luogo il positivismo, la tendenza a ridurre la realtà solo a ciò che le scienze possono cogliere con i loro strumenti. Poi, il soggettivismo nella sua versione esistenzialista: a un individuo si chiede solo di realizzare le proprie inclinazioni senza più riferirsi a ideali che lo trascendono. Infine lo storicismo, che considera tutti i sistemi di valore come riflesso delle condizioni di una società o di una struttura sociale, per cui non esisterebbero più principii metastorici e permanenti.
Certo, Daniélou scriveva queste pagine in un momento storico ancora caratterizzato dalla modernità e dal dominio delle ideologie. Oggi il crollo dei muri e l'avvento dell'informatica lo porterebbero probabilmente ad aggiungere altri pericoli, il nichilismo in primo luogo. Forse anche il narcisismo e la stupidità. E, riferendosi al compito degli intellettuali, il conformismo e la rassegnazione. E converrebbe con Mounier nel ritenere che ogni discorso che li riguardi non può prescindere da due condizioni: l'impegno verso la società nel denunciare il male e l'ancoraggio alla trascendenza, o almeno a un'autotrascendenza, cioè al senso del limite del desiderio di onnipotenza dell'uomo.

PS: alcuni mi hanno chiesto il motivo del titolo della rubrica: lo spunto viene da chi ha detto, mi pare Eliot, che la cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto; bombardati come siamo da informazioni di tutti i tipi, s'impone un ritorno all'essenziale, facendo 'tabula rasa' di tutto ciò che è inutile. Ripartire da qualche buon libro può essere un inizio.
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