sabato 26 giugno 2021
Alfonso Maria de' Liguori, prete vescovo e santo. Nobile famiglia, primo di otto figli, nato a Marinella di Napoli, in villa, nel 1696. Studia in casa, a 12 anni è già all'università, a Napoli, per le lezioni di Giovanbattista Vico e dello storico Pietro Giannone. A 16 dottore in legge, a 19 avvocato in tribunale, a 22 giudice del regno, a 26 ambasciatore del viceré. Una carriera strepitosa. I suoi lo vorrebbero sposato con Teresina de' Liguoro, lontana parente, che però si fa monaca e muore presto, nel 1724. Già l'anno prima Alfonso, con scandalo di tanti, ha lasciato la toga e deposto la spada di cavaliere davanti alla Madonna della Mercede. Studia teologia, a 30 anni è prete e lavora con i “lazzaroni” di Napoli, barboni e orfani di allora. Nel 1730 si trasferisce a Scala, sopra Amalfi, e lì si accorge che c'è tanta gente trascurata da tutti che quasi ignora Gesù Cristo. Sistema un vecchio convento per un gruppo di ragazze, saranno le Figlie del Santissimo Redentore, poi pensa agli uomini e a Scala fonda la Congregazione del Santissimo Salvatore. Dopo 25 anni Benedetto XIV approva, ma ne cambia il nome: Congregazione del Santissimo Redentore. Oggi i Redentoristi sono quasi 10.000 in tutto il mondo. Lui fino al 1762 pensa solo alla gente e ai suoi frati, predica e scrive. A sorpresa Clemente XIII lo vuole vescovo a Sant'Agata dei Goti, nel Beneventano, e lui per essere consacrato fa l'unico viaggio della sua vita: a Roma, poi a Loreto. Nel 1768 gli si piega la spina dorsale: il profilo curvo lo distingue in ogni immagine. Fa il vescovo fino a quasi 80 anni. Nel 1776 si ritira a Pagani, tra i suoi frati, per morire in pace, ma arriva la tempesta: su pressione del Governo napoletano i frati cambiano la loro Regola, a Roma la cosa non piace e arriva una condanna pontificia. La Congregazione è spaccata in due. Lui ne soffre incredibilmente e passa anni dolorosi, nell'anima e nel corpo, che perde progressivamente vista e udito. Anche per questo scrive tanto. Muore sereno, però, sorridendo, a quasi novantuno anni: primo agosto 1787. La gente lo dice già santo, nel 1816 è beato, Pio IX lo fa santo nel 1839 e nel 1871 lo dichiara Dottore della Chiesa. Dottore: parole e scritti. Leggendaria la sua capacità di parlare ai semplici. Ha reinventato le missioni popolari e per tanti anni le ha condotte direttamente, anche in dialetto. Come scrittore è uno di quelli più fecondi di tutti i tempi: 111 grandi opere, popolari e dotte, lettere aperte e trattati teologici, meditazioni e preghiere, poesie e canti, come Tu scendi dalle stelle. Se avessero i diritti d'autore i suoi frati farebbero invidia a Bill Gates. Le famose Massime eterne sono sue. E Le glorie di Maria, e Apparecchio alla morte, e i grandi volumi in latino della Theologia moralis, e le guide pratiche per i confessori. Aperto, in un mondo ecclesiastico e laico chiusissimo, misericordioso in tempi severissimi, cordiale in una Chiesa allora arcigna e in una società rigidamente divisa in classi, popolare in un mondo aristocratico, dolce e sereno nel clima aspro e nevrotico del giansenismo d'esportazione anche a Napoli. Di lui ha scritto don Giuseppe De Luca, uomo di lettere finissimo del Novecento: «Nella storia della Chiesa è il napoletano di intelligenza più vasta dopo il 1500, come Tommaso d'Aquino dopo il 1000. È stato il nostro maestro elementare e insieme il nostro dottore ultimo, dalle cime più alte oltre le quali è il cielo».
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