mercoledì 22 febbraio 2012
Nel saggio postfatorio allegato a Il signore delle anime, di Irène Némirovsky (Adelphi, pagine 240, euro 18,00), Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt si preoccupano di scagionare l'autrice, esule russa di famiglia ebraica, a Parigi dal 1917, dall'aura di antisemitismo che qualcuno, ieri più che oggi, riteneva di cogliere nei suoi romanzi. Preoccupazione superflua, con tutto il rispetto per i due autori della biografia esaurientissima della Némirovsky, alla quale tutti noi ammiratori di Suite francese non ci saziamo di abbeverarci. È vero che molti personaggi dei romanzi di Irène sono israeliti e che l'alta finanza ebraica è egativamente marchiata, soprattutto in David Golder, il romanzo che diede fama alla scrittrice nel 1929; ma Némirovsky si guarda bene dal generalizzare: costruisce letterariamente dei singoli caratteri, e parla del mondo che conosce in prima persona, con i suoi pregi e le sue tare. Ed è ozioso, oltre che indecente, discutere dell'eventuale antisemitismo di un'ebrea che ricevette il battesimo nel 1939, e che morì ad Auschwitz, non ancora quarantenne, nel 1942. Dario Asfar, il protagonista del Signore delle anime, è un levantino con sangue greco e italiano che ha troppo sofferto nei bassifondi di Odessa, maltrattato in famiglia e umiliato in mille modi. Con enormi sacrifici riesce a ottenere una laurea in medicina e a fuggire in Francia, prima a Nizza, poi a Parigi, con la giovane moglie, Clara, che sta per diventare madre. Ma neppure in Occidente gli arride la fortuna: squattrinato, malvestito, non ispira fiducia, non riesce a procurarsi clienti al di fuori della miserabile cerchia degli emigrati russi che, oltretutto, non pagano le sue parcelle. Come una bestiola selvaggia che è uscita dalla sua tana nella foresta, si aggira in cerca di cibo per sfamare la sua famigliola, braccato da mille pericoli. Assillato dai debiti, pratica addirittura un aborto clandestino. La svolta favorevole avviene quando Dario elabora una teoria pseudo-psicanalitica basata sulla "sublimazione dell'Io", che risulta consolatoria soprattutto per le ricchissime clienti affette dai sensi di colpa per le trasgressioni a cui non intendono rinunciare. Diventa ricchissimo alleandosi con Elinor, un'americana senza scrupoli che riesce a farsi sposare da Philippe Wardes, un industriale donnaiolo e giocatore impenitente, con mille fobie, che si toglierà la vita non senza incitazione della diabolica coppia. Ma la ricchezza non placa la fame da cui Dario è atavicamente segnato: sopraggiunge la crisi che provoca altri debiti, sempre più ingenti, altra abiezione. Clara, moglie amantissima, sempre pronta a perdonare anche i tradimenti del marito, morirà al momento giusto, e il figlio Daniel, ormai diciassettenne, si staccherà definitivamente dal padre, in nome di una moralità che ha visto nella signora Wardes, la moglie legittima del miliardario, emblema di una purezza irraggiungibile da cui anche Dario era stato vanamente affascinato. Non si sfugge al proprio destino, è la tesi disperata del romanzo, con l'eventuale sottinteso che la moralità è appannaggio di chi se la può permettere, come la signora Wardes, appunto, e come Daniel, che il padre ha educato negli agi che a lui erano costati umiliazioni, inganni e delitti. Uscito a puntate su "Gringoire", un giornale di destra, tra il maggio e l'agosto 1939, Il signore delle anime è molto più feuilletonistico rispetto ad altri romanzi della stessa scrittrice, con colpi di scena e coincidenze fin troppo calcolate. Ma Némirovsky è sempre Némirovsky.
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