sabato 26 dicembre 2020
Francesco ha impartito ieri la benedizione Urbi et Orbi dall'Aula delle benedizioni
Il Papa ha impartito la benedizione Urbi et Orbi dall'Aula delle Benedizioni in Vaticano

Il Papa ha impartito la benedizione Urbi et Orbi dall'Aula delle Benedizioni in Vaticano - Ansa/Vatican Media

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I vaccini possono essere una speranza se sono per tutti, se si guarderà anche ai più bisognosi, se Stati e imprese rinunceranno alla concorrenza per cooperare in questa sfida planetaria. Papa Francesco dedica il tradizionale Messaggio di Natale alla via d'uscita dalla pandemia. Lo fa in Vaticano, con poche persone presenti nell'Aula della Benedizione. Per la prima volta a Natale piazza San Pietro è vuota.

"Oggi, in questo tempo di oscurità e incertezze per la pandemia, appaiono diverse luci di speranza, come le scoperte dei vaccini" ha detto ieri papa Francesco prima della benedizione Urbi et Orbi. Ma perché queste luci possano illuminare e portare speranza al mondo intero, devono stare a disposizione di tutti. Non possiamo lasciare che i nazionalismi chiusi ci impediscano di vivere come la vera famiglia umana che siamo. Non possiamo neanche lasciare che il virus dell'individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle. Non posso mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti di invenzione sopra le leggi dell'amore e della salute dell'umanità".

Quindi il Papa ha rinnovato il suo appello: "Chiedo a tutti: ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali, di promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti: vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi di tutte le regioni del Pianeta. Al primo posto, i più vulnerabili e bisognosi!". "Di fronte a una sfida che non conosce confini, non si possono erigere barriere. Siamo tutti sulla stessa barca".

Ed è sempre la pandemia al centro dei suoi pensieri quando chiede di pregare per chi è malato, per chi ha perso il lavoro ma anche per "le donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche". Il Papa poi ha percorso le aree del pianeta più martoriate, dove guerra, fame, calamità naturali, terrorismo, e ora anche pandemia, mettono quotidianamente la popolazione in ginocchio, a partire dai più fragili, come i bambini che "pagano l'alto prezzo della guerra".

Dalla Siria al Libano, alla Terra Santa, per la quale auspica il dialogo e una "pace giusta", sfilano nelle parole del Papa anche le sofferenze nel Nagorno-Karabakh, in Ucraina, nei Paesi africani più poveri, e anche in quelli latino-americani dove il coronavirus ha amplificato disparità e sofferenze, come Venezuela e Cile. Ci sono poi i Paesi flagellati a causa dei cambiamenti climatici, come Vietnam e Filippine. Infine il pensiero alle minoranze perseguitate come i Rohingya e gli Yazidi.

Il Papa invita a pensare che "il dolore e il male non sono l'ultima parola. Rassegnarsi alle violenze e alle ingiustizie vorrebbe dire rifiutare la gioia e la speranza del Natale. In questo giorno di festa - ha detto - rivolgo un pensiero particolare a quanti non si lasciano sopraffare dalle circostanze avverse, ma si adoperano per portare speranza, conforto e aiuto, soccorrendo chi soffre e accompagnando chi è solo". "Il mio pensiero va in questo momento alle famiglie: a quelle che oggi non possono ricongiungersi, come pure a quelle che sono costrette a stare in casa", ha concluso.

La giornata di Natale era cominciata con un dono speciale del Papa ai senza dimora di Roma: 4mila tamponi per poter accedere alle strutture di accoglienza in tutta sicurezza.

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