
Le scarpe indossate dal Papa nella bara - Ansa
A guardarle bene, fanno impressione. Quelle scarpe così consumate si addicono poco a un Papa. Tanto più se lo devono accompagnare nell’ultimo viaggio. Sono vecchie, vissute, e la lucidatura, per quanto accurata, non basta a restituirle all’originaria bellezza. Però sono comode ed è quello che conta per chi deve superare mille buche evitando di prendere storte quando il marciapiedi è ondulato e il catrame qua e là sfarina. Si tratta di decidere tra malleabilità ed estetica. E allora, trattandosi di Francesco, nessun dubbio: vince la facilità di camminare spediti, stando accanto a chi rischia di perdersi, senza doversi fermare perché vengono le vesciche. Si dirà che queste teorie non hanno senso, che in fondo le scarpe indossate da morti sono inutili, che nella vita dopo la morte fisica non ci sono strade e sentieri come le conosciamo oggi.
Tutto vero se non fosse che la foto della salma del Pontefice composta nella bara serve innanzitutto a noi, è un modo per perpetuare il ricordo di quel che è stato Francesco e di come, almeno crediamo, si è presentato al cospetto di Dio, pronto al suo abbraccio.
Perché di una cosa siamo certi, crediamo che nell’ultimo giorno non esisteranno maschere e travestimenti, sappiamo che l’anima arriverà nuda di fronte all’amore, con il bagaglio del bene compiuto, da mettere sulla bilancia per farla pendere dalla parte dei salvati. Il riferimento è al capitolo 25 del Vangelo di Matteo, quello che Bergoglio ha più volte indicato come bussola da seguire per trovare Dio, che si nasconde nei volti degli affamati, degli assetati, dello straniero, del malato, del carcerato. Tanti pensano che per vivere da cristiani basti non compiere il male. In realtà il Signore chiede una marcia in più, vuole che venga fatto il bene, desidera che il credente abbia il cuore aperto verso chi ha bisogno, si tratti di una povertà fisica o di una mancanza morale. Significa che non sappiamo chi sia davvero ricco e chi invece mancante.
Lo Spirito non segue le regole del conto corrente ma legge nella profondità dei pensieri, sa andare oltre le apparenze, riesce a capire anche il non detto. E viene in mente quel celebre scritto di san Giovanni Crisostomo: «Così avviene nella vita: dopo che è sopraggiunta la morte ed è finito lo spettacolo, tutti si tolgono la maschera della ricchezza e della povertà e se ne vanno via da questo mondo. E sono giudicati solamente in base alle loro opere, alcuni realmente ricchi, altri poveri». Una separazione che in papa Francesco non esisteva. Lui era ricco perché aveva scelto di essere povero, tutti i giorni, ogni attimo di vita. E per farlo era disponibile a percorrere qualsiasi distanza, ad avventurarsi in qualsiasi sentiero, a dispetto dei pericoli e delle maldicenze, incurante anche dell’impopolarità e del chiacchiericcio. Con le scarpe grosse, pesanti e, visti i problemi legati all’andatura, ortopediche.
Eppure, malgrado questi handicap, tutto il suo pontificato è stato un invito a vivere la fede come un “cammino” continuo, un viaggio da vivere insieme agli altri, nel segno della speranza e del servizio.
In questo senso il messaggio dell’Anno Santo è chiarissimo: siamo pellegrini, camminare ci avvicina a Dio e alla vita degli altri. Dove le calzature rappresentano davvero l’ultimo dei problemi. In un’intervista il vescovo della diocesi argentina di San Justo monsignor Eduardo Horacio Garcia, racconta di aver incontrato Francesco, di cui era amico, in Vaticano subito dopo la sua elezione a Papa, portandogli le scarpe che prima di partire per il Conclave, il cardinale Bergoglio aveva commissionato a un negozio. Credevo fossero nuove, ha spiegato Garcia, mentre aveva solo fatto sistemare quelle vecchie. Una storia vera che ha il sapore della metafora. Nella vita dei giusti secondo il Vangelo succede la stessa cosa: incontrare il Signore cancella i segni del tempo, toglie le rughe dal viso, annulla la fatica. E puoi camminare leggero sui sentieri più ripidi e accidentati senza paura. Persino indossando un paio di scarpe rovinate, vecchie e pesanti.