Vivere è accettare rischi. Ci si protegge valutandoli
mercoledì 26 febbraio 2020

Era in fondo inevitabile che il coronavirus innescasse un dibattito acceso sulla strategia migliore per affrontare l’emergenza, dibattito che deve tenere presente diversi punti di vista. Nessuno può negare che la salute sia un bene primario ed essenziale. Si dice spesso che la vita ha un valore infinito e incommensurabile. Quando però si prendono non solo decisioni politiche, ma anche quelle personali di ogni giorno, non si applica mai questo principio alla lettera. Decidere di fumare, salire su un treno o su un aereo, guidare un motorino in mezzo al traffico affollato di una metropoli sono tutte decisioni che prendiamo solo se implicitamente diamo alla vita un valore meno che infinito, ovvero accettiamo di metterla a rischio. Paradossalmente dare valore e senso alla vita vuol dire accettarne i rischi, anche se possiamo e dovremmo ridurre tali rischi al minimo necessario, e se possibile non aumentarli con vizi inutili. Anche le decisioni politiche non possono essere prese dando alla vita un valore infinito.

Le risorse di denaro, di tempo e di infrastrutture sono comunque limitate e vanno allocate a diverse destinazioni. Per deciderle come utilizzarle al meglio, anche se sembra crudele, bisogna necessariamente stabilire quanto pesare diversi costi e benefici, inclusi i costi in termini di vite umane. Per capirci, se paradossalmente dessimo un valore infinito alla vita (e quindi un costo infinito alla sua perdita) dovremmo decidere di metterci comunque tutti in casa fino alla fine dell’epidemia mentre evidentemente il grado di precauzione scelto come ottimale dal governo è inferiore e riflette il fatto che la paralisi della nostra vita ha costi umani, sociali ed economici (e persino religiosi se significa differire le Ceneri o impedire la celebrazione della Messa e dei sacramenti in un’intera regione). È lecito pertanto riflettere tutti insieme su quanto sta accadendo e sulle scelte che abbiamo fatto e stiamo facendo, al di fuori di ogni speculazione politica (ce ne sono purtroppo) e dopo aver manifestato un sincero apprezzamento per chi è in prima linea sui fronti sanitario e politico, a livello sia regionale sia nazionale. Le prime indagini statistiche sul Covid-19 ci parlano di tassi di mortalità (rapporto tra decessi e contagiati) superiori a quelli di una normale influenza, ma molto contenuti e fortemente decrescenti al decrescere dell’età.

C’è poi il sospetto assolutamente ragionevole (e confermato da alcuni importanti virologi) di una forte distorsione nel denominatore. Se in molti casi (anche tra quelli accertati) il nuovo coronavirus non dà sintomi o dà febbri molto lievi, è del tutto evidente che esistono molti pazienti non gravi affetti da coronavirus che non sanno di averlo. Nessuno desidera infatti andare in ospedale (rischiando in questi giorni anche di intasarlo) o persino farsi esaminare o analizzare se non pensa che le sue condizioni siano serie o gravi. È pertanto ragionevole pensare che quei tassi di mortalità già lievi siano di fatto sovrastimati. Sono queste probabilmente le considerazioni che hanno spinto le autorità ad adottare misure molto severe nei luoghi del focolaio, allentando progressivamente le precauzioni nel resto del Paese, man mano che ci si allontana da quelle zone. Sull’altro piatto della bilancia dobbiamo infatti considerare i danni che le misure precauzionali arrecano alla nostra vita sociale ed economica. Danni che hanno effetti sulla sopravvivenza di imprese e posti di lavoro.

La storia di eventi simili a questo insegna che i tempi dell’emergenza sono per fortuna quasi sempre brevi. Nel giro di poche settimane o mesi l’epidemia scompare come un male di stagione. E l’economia ha un tipico andamento a V, ovvero dopo aver toccato un picco negativo si riprende altrettanto rapidamente anche grazie al desiderio delle persone di recuperare il tempo perduto in termini di incontri, viaggi turismo, ristorazione, lusso e attività che incidono su altri settori economici. Quello che sicuramente i dati e queste riflessioni non giustificano è il panico da parte di giovani ed adulti in buona salute, l’accaparramento di derrate alimentari nei supermercati e i sentimenti di rancore o la penalizzazione economica della comunità cinese che dà un contributo importante alla vita del nostro Paese. Arrivano in questi giorni, di tanto in tanto, anche notizie su Stati esteri che guardano con sospetto ai voli provenienti dal nostro Paese e all’arrivo sul loro territorio di cittadini italiani. Non c’è nulla di più efficace per superare sentimenti di ostilità che mettersi 'nelle scarpe degli altri'. C’è da sperare che l’essere considerati come 'appestati' ci aiuti a capire il disagio che molti stranieri provano nel nostro Paese di fronte ad atteggiamenti di ostilità e di aggressività che diversi dei nostri concittadini hanno nei loro confronti.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI