martedì 5 luglio 2016
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Riflessioni per una nuova stagione di impegno laicale La lettera di papa Francesco al cardinale Ouellet, pur rivolta all’America Latina, contiene numerosi spunti di riflessione anche per l’impegno pubblico dei credenti nel nostro Paese. Essi muovono dalla visione di fondo del cristianesimo. Anzitutto la sottolineatura che «tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici»; il sacramento che suggella la nostra identità è il Battesimo: «Ci hanno battezzati laici». Francesco torna con forza all’insegnamento conciliare e alla chiave di lettura offerta da Paolo VI con la Evangelii Nuntiandi: al centro la dignità e la libertà dei figli di Dio (LG 9) e, di conseguenza, il giudizio sul clericalismo: esso rischia di «sminuire e sottovalutare» la presenza dello Spirito nel cuore dei credenti, controllare e di frenare l’unzione di Dio sui suoi, limitare iniziative e sforzi: «le audacie necessarie» per portare il Vangelo «a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica». La critica al clericalismo andrebbe accompagnata con una lettura storica della situazione italiana negli anni recenti. Il punto nevralgico sta però nel sentirsi sollecitati verso un rinnovato slancio di evangelizzazione e di inculturazione in questa nostra storia.
 
 
Custodendo, come scrive Francesco, due memorie: Gesù Cristo e «i nostri antenati». La prima custodia ci mette davanti alla necessità che i credenti, i battezzati impegnati nella realtà terrena, debbano essere «convenientemente formati» e pertanto membra vive della Chiesa, partecipi della comunità cristiana. Insomma, chiamati a vivere non un cristianesimo «di nome» o di alcune pratiche, ma una fede vissuta responsabilmente, a tutto tondo. Il richiamo agli «antenati», sviluppato dal Papa in riferimento alla vita familiare e alla parrocchia, nel caso dell’impegno politico può essere esteso alla tradizione di un movimento cattolico che, in comunione con i pastori, ha costruito una presenza significativa nel nostro Paese, contribuendo a quel processo di inculturazione necessario in ogni tempo. Non a caso Francesco richiama il rischio di «perdere la memoria, sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo». Francesco descrive il ruolo della gerarchia ecclesiale: essa non ha in esclusiva la «proprietà» dello Spirito, bensì è chiamata a servire il popolo «dal di dentro», a «guardare, proteggere, accompagnare, sostenere e servire» il popolo fedele di Dio. Cinque verbi che sono un programma. Non è «il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire.
 
 
Lui lo sa tanto e meglio di noi», vivendo ogni giorno immerso nella città degli uomini. Si tocca un punto delicato e critico, ma è rilevante individuare il ruolo positivo che il Pontefice indica ai pastori, mettendosi anche lui tra questi: «uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la cari-tà e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori». Non indicazioni che piovono dall’alto, ma la disponibilità a camminare insieme nel difficile discernimento del tempo presente. Ciascuno con il suo compito. È un cambiamento di stile e di passo verso quella Chiesa comunionale già disegnata dal Concilio. Ciò chiede sempre una disponibilità e preparazione, da parte della gerarchia, a saper interpretare i segni dei tempi, offrendo un accompagnamento spirituale e morale circa l’inculturazione della dimensione sociale della fede (come Francesco illustra nel cap. IV della Evangelii gaudium). 
 
 
Vescovi e preti non possono rinunciare al loro munus docendi (cf EG, n. 182), ma esso va esercitato in sinergia con i christifideles laici, i quali con la loro competenza professionale e la loro esperienza delle cose temporali possono renderlo più pertinente, specie su temi in cui i pastori non sono esperti.  Francesco tocca quindi il ruolo del laicato, i rischi della «élite laicale», impegnata nelle «cose dei preti» e lontana dalla vita del popolo. Qui sta una sollecitazione che, nella situazione italiana, ha carattere di urgenza.
 
 
È un invito all’azione. Ai laici è chiesto di muovere con decisione i loro passi sul terreno dell’annuncio e dell’inculturazione, sapendo che si tratta di «un processo» che i pastori debbono stimolare «incoraggiando la gente a vivere la propria fede dove sta e con chi sta». Se, dice il Papa, come pastori abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato «nella vita pubblica quotidiana», la omologazione del laicato ha finito per limitare «le diverse iniziative e sforzi, e oserei dire, le audacie necessarie per portare la Buona Novella del Vangelo a tutti gli ambiti dell’attività sociale e soprattutto politica». L’invito è ai tanti battezzati impegnati nella nuova stagione: prendano l’iniziativa confrontandosi in un discernimento comunitario.
 
 
Un discernimento, dice ancora Francesco, da fare «con la nostra gente e mai per la nostra gente o senza la nostra gente», con strumenti, organizzazioni, «iniziative e sforzi audaci», come risposta creativa alle necessità delle persone e dei tempi. Su questa creatività è cresciuto nel nostro Paese un movimento laicale ricco di donne e uomini, di opere e di proposte: ad una nuova audacia creativa è affidata la costruzione di questo scorcio di storia.
*Deputato del Pd già vicepresidente dell’Azione Cattolica
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