sabato 16 febbraio 2013
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​«Quando si mettono le manette senza obbligo di legge a finanzieri che rappresentano la metà del listino, è difficile non prevedere incontrollabili reazioni psicologiche». Era il 10 luglio 1981. Con queste parole, intervenendo alla Camera nel dibattito sulla fiducia al governo Spadolini, Bettino Craxi commentava l’arresto del banchiere Roberto Calvi disposto dalla procura di Milano nell’ambito dell’indagine sul Banco Ambrosiano. Parole che tornano alla mente in questi giorni, a proposito di alcuni commenti su quella che un quotidiano ha definito, provocatoriamente, «la retata di San Valentino».A destare maggiori polemiche è l’indagine su Finmeccanica. Perché – si dice – la spada dell’azione penale rischia di compromettere gli interessi economici nazionali e la capacità dell’Italia di competere all’estero su mercati in cui «pagare una tangente è un fenomeno di necessità». E qualcuno potrebbe chiedersi: cosa sarebbe accaduto se il reato di corruzione internazionale (art. 322 bis del codice penale) fosse esistito ai tempi di Enrico Mattei? Si potrebbe rispondere: questa norma del nostro codice è la traduzione di precisi impegni internazionali assunti dall’Italia e da tutti gli altri Paesi europei. E le convenzioni non si limitano a prevedere l’obbligo di incriminazione della corruzione internazionale, ma impone che ciascun Stato si adoperi in concreto «affinché ogni potere giudiziario discrezionale conferito dal proprio diritto interno» venga esercitato in modo «da ottimizzare l’efficacia di misure di individuazione e di repressione» di tale reato (art. 30.3 della Convenzione Onu per la lotta alla corruzione).Si dirà: sono belle parole che però, in altri Paesi in cui l’azione penale non è obbligatoria, rimangono sulla carta. In tal modo penalizzando l’Italia, dove una magistratura eccezionalmente indipendente e che non si fa carico degli interessi del "sistema Paese", porta avanti (in questo campo) le indagini con un’incisività sconosciuta altrove. Non si può negare che questa obiezione colga, almeno in parte, un problema reale. Ma qual è la soluzione? Tornare indietro e legittimare le "mazzette"? No. La via d’uscita è guardare avanti. Chiedere e realizzare più Europa. La strada è già tracciata. Se le magistrature dei diversi Paesi europei agiscono con prassi differenti, allora la soluzione sta nel prevedere e dare forza operativa ad organismi europei che combattano la corruzione.Il "programma di Stoccolma" prevede che, entro la metà del 2013, la Commissione proponga al Consiglio e al Parlamento europeo la creazione della procura europea, con compiti investigativi sui reati di frode comunitaria. Se a tali reati si aggiungesse la corruzione internazionale, questa nuova procura avrebbe già il suo braccio operativo: l’Olaf (Ufficio europeo di lotta antifrode) che sin dal 1999 conduce investigazioni in materia di frodi e corruzioni internazionali. Oggi, i risultati di queste indagini sono utilizzati solo a livello amministrativo. Se l’Olaf potesse riferirli direttamente anche alla futura procura europea (divenendone la sua polizia giudiziaria), allora la lotta alla corruzione internazionale sarebbe più efficace e, soprattutto, omogenea. Ancora una volta ci serve la lezione del coraggio che ebbero Adenauer, De Gasperi, Schuman, Monnet, Spinelli, Spaak. Uomini che, nell’epoca che seguì la tragedia più cupa della nostra storia, sapendo guardar lontano, furono veri leader delle loro genti; esercitando il potere con un amore per l’uomo che ancora oggi ci fa del bene.
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