domenica 15 gennaio 2012
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«L’ur­genza di promuovere con nuova forza e rinnovate modalità» l’evangelizzazione oggi è favorita dalle migrazioni, che «hanno abbattuto le frontiere» e costruito nuovi incontri tra persone e popoli. Questa coniugazione stretta tra migrazioni e nuova evangelizzazione è il tema centrale del Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2012 che si celebra oggi in tutte le parrocchie italiane. Una nuova evangelizzazione che chiede nuovi operatori, rinnovate strutture, un nuovo modo di comunicare il Vangelo «da persona a persona» – come ricordava Paolo VI nell’Evangelii nutiandi – che aiuti a superare «contrapposizioni e nazionalismi» e ogni forma parallela di pastorale migratoria. In Italia la nuova evangelizzazione invita a guardare agli oltre 5 milioni di persone, di cui quasi un milione di fedeli cattolici 'differenti' per tradizioni e riti, ma anche ai 4 milioni di italiani all’estero, la quasi totalità dei quali cattolici, che hanno formato comunità importanti soprattutto in Europa e nelle Americhe. Le comunità cattoliche di immigrati in Italia come le comunità cattoliche di emigranti nel mondo hanno costituito e costituiscono un valore aggiunto nell’esperienza cristiana di molte comunità di antica e nuova tradizione cristiana. Le une e le altre comunità, formate soprattutto da giovani, sono risorse importanti per comunicare il Vangelo, ma soprattutto per viverlo in contesti diversi. Le note dell’apostolicità e della cattolicità della Chiesa trovano nell’incontro tra popoli, nelle migrazioni e nelle diverse storie di mobilità (la gente del mare e dello spettacolo viaggiante in particolare, comunità rom e sinte) un luogo fondamentale di espressività. In questo senso, le migrazioni sono – ricorda il Papa – «un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo», un segno dei tempi per rileggere la nostra vita cristiana, confrontandoci con chi proviene da mondi e Chiese differenti. Lasciare soli i migranti, abbandonarli, respingerli o non considerarli nelle nostre parrocchie significa perdere persone e famiglie importanti per ripensare e ridisegnare la Chiesa, ma anche la città, con «nuove progettualità politiche, economiche e sociali». Lavoratori e famiglie migranti, richiedenti asilo e rifugiati, studenti internazionali – le categorie di migranti che Benedetto XVI ricorda nel suo Messaggio – sono tre luoghi e mondi pastorali per verificare e ordinare la vita delle Chiese locali anche in Italia, «evitando forme di discriminazione», favorendo «il rispetto della dignità di ogni persona, la tutela della famiglia, l’accesso a una dignitosa sistemazione, al lavoro e all’assistenza». Occorre evitare il rischio – che fu anche per gli italiani in 150 anni di storia dell’emigrazione italiana – che le migrazioni corrispondano alla perdita e all’abbandono dell’esperienza di fede, magari motivate anche da una debole testimonianza della carità, oltre che da una fede chiusa verso il nuovo o incapace di esprimersi in maniera rinnovata: evitare il rischio per i migranti «di non riconoscersi più come parte della Chiesa».
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