Usare schiettezza nel tempo dell'astio: virtù che chiede interpreti responsabili
venerdì 6 gennaio 2017

Caro direttore,

io non ne posso più del 'politicamente corretto' perché spesso nasconde la verità. Per esempio, ma davvero a proposito dell’intervento del ministro Poletti – che secondo me ha detto la sacrosanta verità relativamente all’emigrazione dei cervelli dall’Italia – si può arrivare a vedere una mozione di sfiducia in Parlamento?! Tutti scandalizzati, ma per che cosa? Perché un ministro ha detto la verità, magari con la schiettezza romagnola che lo contraddistingue? Secondo me – ripeto – non ha affermato niente di così offensivo. Vogliamo forse sostenere che centomila giovani emigrati siano tutti 'cervelli in fuga' dall’Italia perché incompresi che non riescono a trovare un posto di lavoro? Sì, ci sono sicuramente anche giovani brillanti e motivati tra questi migranti, ma sono solo una parte... Il Governo Renzi, per di più, aveva messo a disposizione decine di milioni per favorire il loro rientro in patria. Molti sono ragazzi che per fare un’esperienza (e anche perché 'così fan molti') se ne vanno, ma di qui a dire che sono 'i migliori' lo ritengo offensivo nei confronti di tutti quei milioni di giovani (e meno giovani) italiani che lavorano sodo o che lottano per trovare un lavoro nella terra dove sono nati e dove ce n’è tanto bisogno. Purtroppo è l’ennesimo caso di mistificazione delle cose, e in questo modo si rischia di arrivare oltre la post-verità...

Gabriele Piazza Castel del Rio (Bo)

Penso che lei abbia diverse ragioni, caro amico. Anche a prescindere dal tema della battuta un po’ infastidita sparata nei microfoni dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, davanti all’ennesima domanda sui (veri o presunti) cervelli in fuga dal nostro Paese, come se esistessero solo i protagonisti e vittime di questo fenomeno e non anche le risposte (alcune davvero utili) via via abbozzate da chi governa e i meriti di quanti si adoperano (e spesso si arrabattano) qui in Italia per aprirsi una strada nei più diversi settori lavorativi e un po’ in tutte le attività professionali, accademiche e commerciali. Il problema che lei indirettamente pone, infatti, è quello dello spaccio di un qualche riassunto fuorviante delle questioni di cui si dibatte. Un problema serissimo e dilagante nel tempo della comunicazione vorticosamente digitale (e irriflessiva) nonché della radicalizzazione (spesso becera) delle controversie. Bisognerebbe, invece, ricordare sempre che la prima fatica da fare è quella di ascoltare e di capire davvero ciò di cui si sta parlando. Sia chiaro, è necessario aver rispetto delle legittime battaglie di opposizione, e sarebbe cosa buona e giusta affinare la disponibilità al dialogo con chi la pensa diversamente da noi. Personalmente, sin da ragazzo, trovo prezioso e arricchente il confronto con chi ha opinioni diverse dalle mie, ma sa condividere lo stesso alfabeto umano e civile e sa esprimersi anche con passione, ma con garbo e senza altezzosità. Mi costa invece sempre di più – lo confesso – sopportare i sentenziosi col ditino perennemente alzato, e poco importa che scrivano sui giornali, pontifichino in tv o alla radio, infestino internet o sequestrino i microfoni nei dibattiti pubblici... E questo perché anch’io registro con allarme che si moltiplicano quelli che non ascoltano e non si informano bene, ma parlano e a volte straparlano anche solo per sentito dire (magari facendoti un fervorino per spiegarti cose di cui ti occupi da una vita...). In genere, lo fanno beandosi delle pseudo-notizie (e delle invettive) manipolate dal cinico, dal furbetto o dal trombone di turno. Queste 'mezze verità' (a volte sono meno che 'mezze'...) vengono usate quasi sempre per servire interessi personali e ambizioni d’ogni tipo, attraverso la costruzione di bugie tutte intere contro chi è d’intralcio a certe cattive e astiose propagande. Da qualche tempo si è deciso di chiamare tutte queste menzogne 'post-verità', ma esse non sono affatto un’invenzione dei giorni nostri, è un fatto, però, che oggi esse sono più ampiamente e aggressivamente diffondibili ed effettivamente diffuse attraverso i nuovi canali di comunicazione. Chiarito questo, gentile signor Piazza, sono convinto che chi fa politica – soprattutto se porta la responsabilità di contribuire a governare un grande Paese come l’Italia – o comunque esercita un qualche potere debba pesare bene i termini che usa e non ingaggiare mai duelli che non servirebbero la verità, ma darebbero solo spazio agli spacciatori di bugie. Ciò che è detto e scritto, da un ministro o anche da un giornalista di una testata importante, pesa e resta inevitabilmente di più. Meglio, allora, misurare le parole, controllare le battute e selezionare gli interlocutori, conservando per intero il diritto a pensare e dire cose 'controcorrente' o semplicemente schiette, ma spiegate bene e orientate a perseguire il bene. Meglio infischiarsi delle provocazioni. Altrimenti invece di raddrizzare un torto si rischia di farne due...

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