sabato 6 giugno 2015
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Le leggi non bastano: fare bene, educare le coscienze Osserviamo questa nuova ondata di arresti eccellenti, consiglieri eletti dal popolo, funzionari pubblici, manager della cooperazione sociale, come dall’alto di una montagna dove l’indignazione ci porta a cercar scampo dallo schifo. Gridiamo il disgusto, i castighi, le leggi e le collere e i furori; e i processi che ci svuoteranno (un’altra volta) la cloaca. Un’altra volta, perché è già accaduto. Ma non come nei giorni di Tangentopoli che misero alla frusta i partiti famelici: oggi nel fango della corruzione vediamo trascinati i vessilli “sacri” della Repubblica, la politica rappresentativa, il bene comune, la solidarietà sociale in settori delicatissimi, come l’emergenza abitativa e la gestione dell’accoglienza dei migranti. E l’idea del tradimento ci ferisce talmente che la clausola d’uso d’ogni cronaca giudiziaria (innocenti presunti fino a condanna definitiva) diviene una sorta di scongiuro. Dov’è intanto per noi l’arca di Noè che dalla Montagna dell’Onestà ci separi dal diluvio della corruzione in cui annega la frangia malvagia? E invece no, la montagna non c’è. Né sotto c’è il fiume di sterco fra argini dritti che reggono rive incontaminate. C’è invece la palude nella quale annaspiamo, da quando la corruzione sembra divenuta costume, norma, panorama, fattore ambientale. Attorno al cerchio del marcio che costituisce delitto, colpito dal codice penale, c’è un alone più grande, scuro e molle, che ha egualmente odore di putredine; c’è un brulicare di faccende furbe, di gente attenta più che a non rubare a farla franca, più che a non violare la legge a eluderla con maestria, facendo proverbio il motto che la furbizia è virtù vincente, mentre l’osservanza è virtù dei fessi. Non è per diminuire lo sdegno specifico, né per fare d’ogni erba un fascio di mani sporche, che penso alle radici della malerba. Qualcosa vi ammicca nelle illegalità banalizzate di tanti, come un fatto che non duole più, che non rimorde, che non è più percepito come un “male”; non so, qualche conto “in nero”, qualche trucco, qualche bugia autocertificata, qualche evasione pur piccola, qualche esenzione o beneficio usurpato. È già una mentalità stortata, che per alcuni poi scivola nella simulazione, nella truffa, nella falsità, nei delitti che le cronache ci raccontano e che ci fanno rabbia (come i falsi invalidi, scoperti nei giorni scorsi, che hanno incassato dall’Inps assegni per un milione di euro). È la mentalità che cerca la soluzione dei problemi, nei rapporti con la pubblica amministrazione, non secondo legge e procedura, ma secondo amicizia col funzionario, o nei casi criminosi secondo il suo prezzo (come nell’inchiesta in corso su alcuni dipendenti e vigilanti di Equitalia Sud). Se non si comprende l’origine del malaffare, le retate non basteranno mai. In molti, quando la collera monta, chiedono leggi più dure, pene più aspre. Tra una settimana entrerà in vigore la legge n. 69, approvata a fine maggio e chiamata appunto legge anticorruzione; aumenterà il carico delle minacce, con la speranza di invogliare all’onestà. Ma i dubbi su questa strategia restano tanti. La sferza, da sola, dissuade ma non persuade. La coscienza obbediente è altra cosa, è il recupero dell’onestà come fondamento costitutivo dello stesso Stato, del patto sociale, della vocazione solidale del villaggio umano. Al di là dei meccanismi repressivi, neppure le leggi civili che disciplinano minuziosamente i settori cruciali della Pubblica Amministrazione (vedi il monumentale codice degli appalti e il monumentale regolamento) bastano allo scopo, se i loro tortuosi meccanismi “di sicurezza” vengono intesi in pratica come una gimkana da affrontare con sotterfugi tecnici raffinati. È questo, sul piano generale, uno snodo critico del problema della legalità in Italia: il coesistere di un’infinità di norme asfissianti e di un’infinità di farse, escogitate ad aggirarle. Il nocciolo risolutivo resta invece la coscienza: quando la cancrena della corruzione del cuore si è portata via la sensibilità, il cuore è morto, lo Stato è un intralcio, la solidarietà una follia, il denaro l’idolo estremo. Eppure di onesti ce n’è, grazie al cielo, e non stanno sulla montagna: ce n’è senza numero, e trovan gusto nell’onestà, non per paura ma per coscienza. È per loro, per questa loro follia, che la palude contiene ancora una speranza.
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