Una festa della Liberazione dal carcere che uccide
sabato 29 aprile 2017

Appena qualche giorno fa, tra le consuete, trite polemiche, abbiamo ricordato il settantaduesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. Michele, condannato a quattro anni in primo grado, non vedrà mai la sua liberazione: cinque notti prima del 25 aprile si è impiccato nel bagno della sua cella, a San Vittore, con la cintura dell’accappatoio.

Aveva 41 anni, un serio problema con la bottiglia e nemmeno uno straccio di speranza. Un mese prima Carmelo, 58 anni, si era tagliato la gola a Rebibbia. E in quello stesso giorno aveva deciso di farla finita, a Regina Coeli, un trentenne bosniaco. Sono gli ultimi tre di un elenco già troppo lungo, che infonde paura e raccapriccio a chiunque crede nella giustizia autentica e nello Stato di diritto: nel 2017 sono finora 16 i detenuti che si sono suicidati nel nostro Paese, in media quattro al mese. In tutto il 2016 furono 45, 43 nel 2015. Parliamo di suicidi conclamati, perciò non sono incluse le tante morti sospette né quelle provocate da malattie e carenze sanitarie direttamente collegate alle condizioni di reclusione.

Nella statistica non rientra quindi neanche il carcerato ignoto che se n’è andato domenica scorsa a Regina Coeli. Aveva 80 anni, ne doveva scontare ancora uno per un cumulo di pena dovuto a una serie di furti di biciclette, ma non ce l’ha fatta: una caduta gli è stata fatale. Pare fosse cleptomane più che ladro (lo leggiamo dal quotidiano Il Dubbio), ma quel che impressiona è che alla sua età fosse ancora dietro le sbarre. Già, perché quel ladro sconosciuto era, prima di tutto, una persona. Un vecchio. Mal vissuto, forse. O magari soltanto malato, o sfortunato. Ma tutto ciò non rileva, direbbe un giudice. In galera ci si va per i reati commessi (tralasciando il fatto che in 7mila ogni anno ci finiscono da innocenti) ed è giusto così. Profondamente ingiusto, invece, è che una volta 'dentro' si possa smettere di percepirsi, ed essere percepiti, come persone.

Ad andare oltre le statistiche, a sostituire i numeri con gli uomini e le donne, è un calvario di storie, di dolori, di errori, di orrori. E sarebbe davvero bello (anzi no, sarebbe solamente giusto) se un giorno, il 25 aprile o in qualsiasi altra data, potessimo festeggiare anche la Liberazione da questo carcere. Un carcere che, quando non uccide, rappresenta troppo spesso una pena accessoria, incostituzionale e inumana, rispetto alla già dura privazione della libertà personale.

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