giovedì 12 maggio 2011
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Siamo in un’epoca dove cadono o, forse, almeno cambiano i tabù. Uno dei tabù che sta per cadere consiste nel fatto esisteva un lavoro in Italia che nessuno sembra poter valutare. Mentre ognuno di noi è sottoposto a valutazione da parte di committenti, capiufficio, tenenti, capireparto, clienti, lettori, capiarea o, se è un boss, a valutazioni di mercato o di soci, esiste un mestiere – uno solo – che sembrava impossibile da valutare: l’insegnante. E uno pensa: ma come, proprio uno dei mestieri più delicati e necessari, più "sacri" e strategici per il bene delle persone e quindi del Paese, è sottratto a valutazioni serie?Di fatto è così. Ogni insegnante può più o meno far quel che vuole, lavorare bene o male, darci la pelle o il minimo. Può decidere se stare al gioco al ribasso del contratto (bassa remunerazione ma basso controllo) o all’alta avventura di una vocazione educativa. Sì, deve adempiere alcune formalità burocratiche, non offendere il preside, non maltrattare i ragazzi, e rispettare quell’altra formalità come può diventare il programma, ma per il resto… Da anni si cerca di mettere a punto modi di valutazione ma la decisione ristagna.Intanto però, ad esempio, il democratico Obama ha cominciato a rompere il tabù. E un po’ di insegnanti statali dalle sue parti han dovuto cambiare mestiere. Dando il segnale che, come diceva Jack Nicholson in un bel film, qualcosa è cambiato.Anche le prove proposte in questi giorni dall’Invalsi (l’organismo che si occupa di valutare la scuola in Italia) agli istituti scolastici riguardo della Matematica e dell’Italiano, hanno suscitato perplessità e polemiche. C’è chi ha visto in questi test, volti a sondare la preparazione dei ragazzi, un modo obliquo per valutare il lavoro degli insegnanti. Valutando quanto gli alunni bravi o somari, han pensato in tanti, si potrà capire se gli insegnanti riescono nella missione per cui vengono pagati. Le scuole hanno aderito, aspettiamo i risultati (e anche le valutazioni nelle altre materie, ovviamente). Serviranno a chiarire un po’ anche certi misteri come quello di alcune aree del Paese eccellenti all’esame di maturità dopo una serie di risultati non esaltanti per tutto l’iter precedente.È ovvio – e la pensano così anche all’Invalsi e al Ministero – che un test da solo non può valutare un percorso formativo. Nessun ragazzo e nessun insegnante, nessun uomo sta in un test. Una scuola che si affidasse a questi unici metodi per valutare la propria qualità sarebbe folle. E anche la lamentela, quasi da nenia araba, che fanno certi insegnanti circa le influenze esterne che condizionano i ragazzi va in una certa misura considerata. Però non bisogna avallare il pigro e irresponsabile atteggiamento di gente che non intende cambiare e perciò dà la colpa alla famiglia, alla società, alla politica, al mondo, al sistema solare e via così: i ragazzi stanno un sacco di tempo, forse persino troppo, a scuola, e se quel tempo non frutta la prima responsabilità è di chi insegna e imposta l’insegnamento. Siamo al punto apice di crisi – non solo in Italia – del sistema d’istruzione e formazione nato sulle idee dell’illuminismo: fatta l’enciclopedia, lo Stato la trasmette con musei e programmi ai cittadini. È un fallimento a cui occorre rimediare con alternative antropologiche ed educative radicali.Personalmente, ho proposto una "rivoluzione" sul modo di insegnare (e di far gustare) la letteratura alle Superiori, settore in cui i dati sono allucinanti. Spero vengano sperimentazioni.I dati Invalsi, insomma, non sono solo un’occasione per farsi un giudizio sui ragazzi. Né solo sugli insegnanti. Troppo poco. Ma possono però diventare una base per sviluppare un giudizio sul Paese, cioè su noi tutti, sul nostro desiderio di futuro: quel che si chiama amore per i nostri figli.
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