Europa e islam più che mai alla prova
mercoledì 4 novembre 2020

L’orribile attacco dell’altra notte a Vienna riporta l’Europa ai recenti periodi più bui in cui il terrorismo islamista ha seminato morte e paura nel Continente, da Parigi a Bruxelles fino a Berlino. L’incursione nella cattedrale di Nizza, altrettanto esecrabile e blasfema, non aveva scatenato giovedì scorso lo spesso panico e le stesse conseguenze sull’ordine pubblico. Era stato subito chiaro che l’attentatore aveva agito da solo e con la sua cattura immediata, purtroppo dopo l’uccisione di tre persone, l’allarme era almeno parzialmente rientrato, anche se non lo sgomento e il dolore. Con le sparatorie dopo il tramonto nell’ultimo giorno prima del lockdown austriaco si è invece piombati nel panico generato da informazioni confuse e dallo spettro di un commando addestrato in azione con fucili ed esplosivi.

La città si è paralizzata, i clienti sono stati chiusi per molte ore nei ristoranti, il pubblico è stato bloccato nel Teatro dell’Opera alla fine della rappresentazione e poi scortato a piccoli gruppi dalla polizia verso i mezzi per il rientro a casa. A fronte della prima ipotesi che l’obiettivo del killer fosse la sinagoga, gli ebrei viennesi sono stati invitati a rimanere al sicuro e comunque a non indossare simboli riconoscibili della loro fede a partire dalla kippah. Ed è subito evidente quale ferita e quale sconfitta siano constatare che qualcuno, seppur per un breve periodo di tempo, debba nascondere la sua appartenenza religiosa per non mettere se stesso e gli altri a grave rischio. Ieri mattina, poi, la gran parte dei negozi è rimasta chiusa nel timore che altri terroristi si aggirassero ancora per la città.

Il celebre parco del Prater e i mercatini natalizi non riapriranno nemmeno con le forti limitazioni anti-Covid, nel clima di apprensione che si è creato. Già sotto scacco per la pandemia di nuovo in ascesa, la società viennese – e la minaccia può estendersi ora anche ad altre metropoli europee – ha subìto il colpo combinato di un estremismo forse ispirato dal rantolante Daesh, che cerca di riguadagnare spazi e visibilità grazie a 'combattenti' solitari e ha tardivamente rivendicato l’azione.

Non sappiamo ancora abbastanza di Kujtim Fejzulai, il ventenne di origine nord-macedone che ha ucciso quattro inermi passanti e ne ha feriti 22, per dire se il suo piano fosse sufficientemente raffinato da prevedere le conseguenze che abbiamo appena riassunto, compresa la saldatura tra lo spettro del virus e le ombre dei lupi solitari per aumentare l’insicurezza collettiva. Di certo, sembra che egli abbia una storia di radicalizzazione più lunga dell’attentatore di Nizza e che sia riuscito a 'ingannare' le autorità austriache, le quali l’hanno arrestato e condannato per il suo tentativo di andare a combattere in Siria con le milizie islamiste e poi l’hanno scarcerato anzitempo, convinte che avesse completato un rapido percorso di reinserimento.

Ma così non era. E ora ci dobbiamo di nuovo domandare quanti Fejzulai si nascondono nelle nostre strade, pronti a colpire, indottrinati (sicuramente) e guidati (forse) da pochi imam spregiudicati, da ristretti ambienti estremistici e da centrali estere. Non tanti, certamente e per fortuna. Anche se il segnale che arriva da un Paese finora risparmiato dall’ultima ondata del terrorismo di matrice islamica non è dei più rassicuranti.

Come in passato, valgono gli appelli alla calma e alla razionalità. Nessuna strategia efficace si basa sull’emotività della paura e del risentimento. Ma nemmeno sulla superficialità di una memoria corta che rimuova subito la minaccia senza pensare alle contromisure, salvo ritrovarla al prossimo attentato sanguinario.

La pronta condanna di alcune alte autorità del mondo islamico è molto importante, ma non deve oscurare il fatto che in direzione contraria sono andate note personalità come l’ex premier malese Mahathir Mohamad, il quale, dopo la strage di Nizza, ha scritto su Twitter (dove è seguito da 1,3 milioni di persone) che «i musulmani hanno il diritto di essere adirati e di uccidere milioni di francesi per i massacri del passato». I cattivi maestri vanno denunciati.

Ma soprattutto, prima che altri invasati, di cui spesso si sfrutta la fragilità psicologica, possano trovare pretesti e coperture per le loro incursioni sciagurate, è davvero urgente rilanciare quella fratellanza tra fedi e culture che il Papa non si stanca di promuovere. Un’alleanza contro la strumentalizzazione delle religioni che tagli fuori e metta all’angolo coloro che credono unicamente nella violenza nichilista e giocano ad appiccare l’incendio dello scontro di civiltà.

Pur sapendo che non è particolarmente utile rivolgersi a entità collettive, verrebbe da dire che all’Europa tocca la vigilanza antiterrorismo e la capacità di ragionevole accoglienza senza tradire la sua identità e le garanzie dei diritti, mentre all’islam spetta una maggiore e più incisiva capacità di trasmettere il messaggio di ripudio dell’odio e dell’intolleranza che armano la mano dei suoi difensori-traditori. Compiti simmetrici, ardui eppure ineludibili.

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